Basta essersi spinti una volta fino al supermercato per averlo notato: a circolare per le strade semideserte delle nostre città in questi giorni sono soprattutto i corrieri. Quelli che portano a domicilio i nostri pasti, e quelli di Amazon.
I rider sono spesso stranieri, pagati a cottimo e in giro in bici; gli altri lavorano per aziende più strutturate, legate alla filiera dell’ecommerce.
In comune hanno quantomeno una cosa: corrono i rischi che noi non vogliamo correre e che appaltiamo loro senza sensi di colpa. Lavorano insomma per i nostri vizi, anche se non è dato sapere cosa consegnino, e a che ritmo, gli uomini di Amazon: in mancanza di dati dall’azienda (li abbiamo chiesti, senza ottenere risposta), bisogna fidarsi di un’indagine pragmatica, e di quello che racconta il sindacato.
La prima è fin troppo semplice: alzi la mano chi non ha in queste settimane piazzato almeno un ordine sulla piattaforma. È successo anche agli scettici e ai detrattori (inclusa la scrivente), per paura di uscire, per l’insondabilità di quello che ognuno ritiene necessario a superare una quarantena e persino per la miopia di certe ordinanze comunali.
In Lombardia, per esempio, fino alla revisione del 4 aprile scorso, nei supermercati non si potevano vendere pennarelli, e i genitori già provati dall’esperienza dello smart working con annesso babysitting non hanno potuto fare altro che chiedere al genio della lampada, Jeff Bezos.
Alessio Gallotta, sindacalista della Cgil-Filt (Trasporti e logistica) racconta che il magazzino di Milano movimentava a febbraio intorno a 32 mila colli al giorno, diventati 40 mila a marzo, e niente fa pensare che gli ordini diminuiranno, sebbene dal 20 marzo la divisione italiana e quella francese della multinazionale abbiano dichiarato che avrebbero distribuito solo beni essenziali.
Ma il concetto di essenziale e indispensabile è quantomai elastico e persino intimo, una volta eliminati i beni di sussistenza. In assenza di una lista chiara, curiosamente è oggi molto più difficile ottenere un libro – vengono movimentati solo quelli che Amazon già aveva a magazzino – che sex toys o vinili, ed è la piattaforma stessa a decidere cosa privilegiare.
Non intasare le consegne con cose superflue sembrerebbe ragionevole, fermo restando la difficoltà a stabilire cosa lo sia davvero, e per chi. Ma il rovescio della medaglia sta nel fatto che la scelta taglia fuori più o meno arbitrariamente molti venditori che, mai come in questi tempi, hanno bisogno della vetrina di Bezos per sopravvivere.
Chiamiamolo il paradosso del lavoro, in cui da sempre Amazon si incunea molto bene. Con grande fanfara nei mesi scorsi sono state annunciate nuove assunzioni, per un totale oggi di 6.900 dipendenti in Italia, ai quali si affianca un numero altissimo di lavoratori a chiamata, a condizioni spesso molto difficili. In questi giorni i numeri sono cresciuti ulteriormente, grazie agli interinali: la ragione non sta solo nell’aumento degli acquisti online, “ma anche nella mobilitazione di un certo numero di addetti, che si sono rifiutati di operare prima che fossero garantite le mascherine e gli standard di sicurezza”, riferisce Gallotta.
Quando il lavoro viene ordinato dalla macchina ed eseguito dall’uomo, in effetti, non è difficile rimpiazzarlo. Le mascherine, in ogni caso, alla fine sono arrivate la prima settimana di aprile, dopo che la dirigenza aveva legittimamente ripetuto che l’Organizzazione mondiale della sanità ritenesse la distanza di un metro tra un operatore e l’altro una misura di sicurezza sufficiente.
Una volta fornite agli operatori, il magazzino di Amazon a Milano ha anche ricevuto il plauso della ASL uscita a fare i controlli di rito: i mezzi per operare in sicurezza, infatti, all’azienda non mancano. Tanto che si è spinta fino a dare 2 euro in più all’ora agli addetti: beau geste che speriamo altri copino. Ma, certo, è difficile dopo che i precari si lamentino per turni o sicurezza: il paradosso, o il ricatto, del lavoro.
Sono problemi, ma non nostri che siamo a casa e vogliamo disperatamente un paio di auricolari nuovi per le nuove zoomate o skypate compulsive. E che possiamo contare quasi unicamente su Bezos, considerato che poche delle altre piattaforme, di qualunque categoria merceologica trattino, riescono a reggere l’improvviso nuovo carico di ordini, e nessuna certamente con l’efficienza di Amazon, che negli anni ha creato una situazione di semi-monopolio.
Quello che potrebbe farci trattenere almeno un po’ riguarda forse il portafoglio: la celebre convenienza dell’ecommerce più grande al mondo inizia a esserlo un po’ meno. È la legge della domanda e dell’offerta, e agli spider (software) di Bezos non sfuggono i prodotti più richiesti, su cui quindi fare gli affari migliori.
Non ci sono dati italiani, ma in America, secondo le rilevazioni fatte da Stackline, una società di Seattle che analizza i dati per migliorare le piattaforme dell’ecommerce, specifiche categorie merceologiche sono schizzate nelle richieste: i guanti di lattice, quelli che servono a proteggere dal virus, sono cresciuti del 670%. Prezzi e qualità, tanto per i guanti quanto per le mascherine – altro genere salvavita, per lo più introvabile e su cui ancora si paga l’Iva al 22% – sono meno che controllati. Ma in assenza di alternative, o in mancanza di controlli, vince sempre la legge del più forte.
Resta da appellarsi solo all’intelligenza individuale. E alla consapevolezza che i vizi degli uni, inevitabilmente, ricadono sugli altri.
Aggiornamento: Amazon ci ha mandato un commento, che riportiamo integralmente qui sotto.
“Il nostro lavoro è continuare a servire i clienti che necessitano di prodotti essenziali, garantendo che tutti i dipendenti siano al sicuro e supportando al tempo stesso le comunità in cui operiamo. Non stiamo continuando ad operare come al solito: stiamo dando la priorità ai prodotti più richiesti in questo momento e li consegniamo per primi. Continuiamo ad effettuare aggiornamenti regolari dell’operatività della nostra rete logistica, di trasporto, fornitura, acquisti e di tutti gli altri processi in modo da poter garantire la consegna di beni come prodotti per la casa, disinfettanti, latte in polvere, beni di consumo, articoli necessari per lavorare da casa.”