Coronavirus, allarme nella Bergamasca già a febbraio. Ma Confindustria pubblicava il video: “Bergamo is running”

Gli imprenditori strillavano l’avanti tutta con fabbriche sempre aperte. Solo adesso si sta cominciando a chiudere.

Il video #Bergamoisrunning, scelto da Confindustria bergamasca il 28 febbraio per tranquillizzare “i nostri partner internazionali”, visto oggi appare desolante.

Il filmato è in inglese e punta a tranquillizzare le relazioni estere in portafoglio di una delle associazioni industriali a più ampia vocazione all’export. Capiamo la vostra preoccupazione, dicono le parole sovrimpresse, ma vogliamo inviarvi un messaggio: il rischio nella zona “è basso”, l’Italia ha preso ampie misure di protezione, la stessa associazione ha istituito un apposito team e, soprattutto, state tranquilli “le operazioni delle nostre aziende non sono contagiose”. “Bergamo is running!” è la conclusione del video e anche della nota siglata da Paolo Piantoni, direttore Generale di Confindustria Bergamo. Ecco il video:

A distanza di venti giorni, quelle parole appaiono improvvide, così come la gestione nella provincia lombarda. A Bergamo il 26 febbraio c’erano infatti “solo” 20 casi che però diventano 72 il giorno dopo, quasi quattro volte in più. Si passa a 103 il 28 febbraio, il 1º marzo raddoppiano a 209, poi 243 e in pochi giorni il focolaio si espande inarrestabile: ieri erano 4645.

Il 28 febbraio l’assessore lombardo al Welfare, Giulio Gallera, escludeva l’istituzione di una zona rossa nel Bergamasco: “Non riteniamo di gestire con ipotesi di zona rossa quella zona lì di Alzano Lombardo” anche se poi, il 3 marzo aggiustava il tiro: “È un dato oggettivo che in quell’area oggi il numero dei contagi è uno dei più alti. Abbiamo chiesto ai tecnici di fare valutazione e di suggerire interventi”. Gli interventi non sono giunti e un peso sembrano averlo avuto gli orientamenti industriali.

Non a caso il malcontento operaio si è espresso con le prime proteste proprio nel Bergamasco e i sindacati metalmeccanici hanno subito puntato il dito contro la scarsa sicurezza in azienda.

E invece, proprio in quei giorni, il 27 febbraio, imprese e sindacati redigono un documento congiunto per dire che “dopo i primi giorni di emergenza, è ora importante valutare con equilibrio la situazione per procedere a una rapida normalizzazione, consentendo di riavviare tutte le attività ora bloccate”, scrivono Abi, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confindustria, Legacoop, Rete Imprese Italia Cgil, Cisl, Uil.

Questa impostazione segnerà le priorità della produzione per almeno dieci giorni. Confindustria nazionale e Confindustria lombarda faranno le barricate contro ogni tentazione di limitare la produzione. A Bergamo, in Confindustria, si dice sommessamente che l’associazione locale sarebbe stata favorevole alla fermata ma non vengono prese misure adeguate. Solo venerdì scorso si fermano le attività alla Brembo e alla Tenaris Dalmine, mentre la Abb continua a rimanere aperta. “Le chiusure sono state imposte dalle proteste, dalla crescita dell’assenteismo e dal crollo degli ordinativi”, dice Eliana Como della Fiom-Cgil che è a Bergamo e che da fine febbraio invoca la chiusura totale delle produzioni non necessarie.

I sindacati sembrano invece aver adottato l’approccio della sicurezza, ma non della chiusura come dimostra il Protocollo di lunedì scorso che consente di tenere aperte le fabbriche a condizioni non sempre verificabili: la mascherina di cui pubblichiamo la foto in pagina è quella di un operaio che la indossa da 15 giorni.

Solo ieri Cgil, Cisl e Uil lombarde hanno adottato una dichiarazione comune “Fermiamoci per la vita” prendendo in prestito l’invito della Croce rossa cinese e chiedendo “la sospensione di tutte le attività non essenziali e indispensabili alla sopravvivenza” la riduzione degli orari dei centri commerciali così come di banche e poste. Speriamo siano ancora in tempo.

 

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