Dalla parte di chi appicca il fuoco

 
Condividiamo il contributo scritto di una compagna

Il presidio sotto la Dozza il giorno delle rivolte è stata l’ultima occasione in cui ho avuto delle relazioni umane, in cui sono stata parte di una comunità fisica, di un’aggregazione. Subito dopo mi sono ritrovata, di nuovo, dietro le sbarre, stavolta quelle della finestra di casa mia, che sta al piano terra.

Da un mese a questa parte abbiamo tutti qualcosa di più da spartire con chi sta in carcere. Impossibilità di uscire, richieste che vengono continuamente rimbalzate, ‘personale’ che dovrebbe aiutarti e non fa altro che reprimere. A chi non è capitato in questi giorni di vedere o sentire raccontare dell’arbitrarietà con cui le forze dell’ordine applicano la legge e sanzionano anche laddove non potrebbero? Persone sedute davanti a casa, persone che rientravano dal lavoro, persone che andavano a correre in completa solitudine, multate per arbitrarietà.

Se un poliziotto può fare questo fuori, è facile immaginare cosa possa fare dentro. Il minimo è un rapporto disciplinare, basato su un’azione che lui reputa sbagliata, o anche solo sul sentito dire, è la legge a permetterglielo.

“Allorché un operatore penitenziario constata direttamente o viene a conoscenza che una infrazione e’ stata commessa, redige rapporto, indicando in esso tutte le circostanze del fatto. Il rapporto viene trasmesso al direttore per via gerarchica” (d.p.r. 230/2000, art. 81 co. 1).

Io, quella volta, rischiai un rapporto disciplinare per aver scritto, durante l’ora d’aria, la parola LIBERTA’ sulla sabbia del campo di pallavolo.

Da un rapporto disciplinare oggi dipende la possibilità di moltx di poter accedere o meno alla detenzione domiciliare. Infatti il governo ha ben pensato che gli autori delle rivolte del mese scorso dovevano pagarla anche su quel fronte, non gli saranno bastate le botte, gli abusi, le privazioni di cibo e di vestiti puliti e via dicendo. Dal decreto che concede la conversione della pena in arresti domiciliari per chi ha ancora da scontare meno di diciotto mesi, restano esclusi tutti coloro che hanno ricevuto un rapporto disciplinare. Dato che il rapporto disciplinare si basa soltanto sulla parola di colui che lo redige, chiunque può esserne oggetto, senza nessuna garanzia di verità.

Un comma aggiunto apposta per punire i partecipanti alle rivolte di inizio marzo. Rivolte grazie alle quali fu emesso il decreto (totalmente insufficiente e inadeguato a risolvere la situazione), rivolte che hanno riportato l’attenzione sulla situazione carceraria. Se i detenuti avessero esposto le loro richieste in maniera pacifica nessuno li avrebbe ascoltati, né dentro né fuori. In carcere non c’è modo pacifico di far valere le proprie ragioni, in carcere tutto passa per una burocrazia infinita, ogni comunicazione con l’esterno è mediata e ogni rivendicazione, pacifica o meno, è repressa con violenza. Per farsi sentire da fuori, chi è dentro deve fare delle azioni eclatanti, deve appiccare il fuoco. È stato grazie al fuoco che saliva dalle prigioni se tutti noi qui fuori ci siamo accorti della carneficina che poteva scoppiare, e che di fatto è scoppiata, tra le mura con il diffondersi del virus.

Chi ha lottato per la libertà e per la salute propria e degli altri non può essere punito, non può essere dimenticato.

 

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