Le carceri sono un focolaio di contagio

Da inizio marzo sono state numerose le proteste portate avanti dalle persone detenute, e ci siamo uniti e unite a chi ha lottato davanti le carceri al fianco dei propri affetti. Anche noi abbiamo i nostri affetti in carcere, non solo a Roma, e siamo disposti a lottare al fianco di chi neanche conosciamo. Il nostro cuore e la nostra testa sono anche con chi sta lottando nei Centri di espulsione per immigrati, da cui escono pochissime notizie perché lo Stato gioca sulla difficoltà di avere contatti con l’esterno.

Il governo non ha mosso un dito per tutelare l’incolumità delle persone detenute e dichiara l’intenzione di attivarsi, con un mese di ritardo, con misure insignificanti. Domani, lunedì 6 aprile, il Senato voterà gli emendamenti al Cura Italia rispetto la possibilità di accedere alla detenzione domiciliare: per come si prospetta, non sarà risolutiva né del sovraffollamento né tantomeno della crisi sanitaria nelle carceri.
Ovviamente gioiamo per ogni singola persona detenuta che riuscirà a mettersi in salvo dal contagio ma è necessario guardare alle altre decine di migliaia in pericolo.

Lo Stato ha parlato delle rivolte descrivendo i detenuti come burattini nelle mani di “regie esterne”. E quindi ci sarebbero regie esterne in tutto il mondo, visto che le rivolte e le proteste sono esplose ovunque?
Durante le rivolte sono state uccise 14 persone e ci è molto chiara la responsabilità di queste morti,nonostante le dichiarazioni ufficiali ci raccontino di morti per overdose. Sono state sminuite se non addirittura ignorate le preoccupazioni di parenti e amici facendo circolare false informazioni, concedendo la parola solo a sindacati dei secondini e burocrati, utilizzando i media per creare un clima rassicurante nel tentativo di soffocare la giusta rabbia delle persone detenute.

Quando la paura di chi è oppresso diventa forza collettiva per alzare la testa, il copione degli Stati è sempre lo stesso.

Oggi più che mai le persone detenute hanno indicato con coraggio l’unica soluzione per mettersi in salvo: liberarsi dalle galere, tornare tutte e tutti a casa.
Che lo Stato costringa a morire in carcere, tra negligenza medica, sovraffollamento, abusi e pestaggi, non è una novità. Ignorare totalmente il pericolo del contagio è una scelta, non è assolutamente una svista.

I dati sui contagi in carcere non sono assolutamente credibili, ogni dichiarazione parla solo dei contagi tra guardie e personale medico, pochissimo esce sulla condizione delle persone detenute. A quanto pare in carcere si diventa immuni al virus!
Anche le parole del Garante dei detenuti sono vuote, non si basano su alcuna informazione concreta. I giornalisti, invece di prendere informazioni da fonti dirette come i parenti dei detenuti, preferiscono come al solito essere uno strumento di contenimento per conto del governo.
Due giorni fa è morto il primo (chissà se è davvero il primo) detenuto per COVID-19 in ospedale a Bologna.
Era uno dei detenuti trasferiti nel carcere di Bologna dopo le rivolte a Modena.
Solo guardando alla regione Lazio, venerdì hanno iniziato a parlare di 5 contagi nel carcere di Rieti, dove sono già morti 4 detenuti a seguito delle rivolte, e di 60 persone in quarantena perché venute a contatto con sanitari positivi nella sezione femminile di Rebibbia. Sempre venerdì, a Rebibbia è morto un detenuto. Lo chiamano suicidio ma per noi è stato ucciso dal carcere.

A Roma sono presenti diverse carceri e tutto quello che sappiamo è frutto delle relazioni tra i familiari e amici delle persone detenute. Sappiamo che questo è l’unico modo per conoscere la situazione reale nelle carceri.

In questo momento è necessario un colpo di reni, una presa in carico collettiva.
Aspettare è la peggior cosa che possiamo fare.

Chiediamo a tutte e tutti di restare attenti a quello che accadrà nelle carceri in questi giorni. Attiviamoci concretamente per abbattere la “distanza sociale” imposta da quelle mura perché tutte e tutti possano mettersi in salvo a casa.

Rete Evasioni, 5 Aprile 2020

 

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