Le armi non sono essenziali

In tempo di coronavirus, nelle fabbriche varesine che producono elicotteri e aviogetti impiegati nelle guerre che sfregiano tante regioni del mondo, è avvenuto un fatto imprevisto. I lavoratori dell’Alenia Aermacchi (oltre 1.500 dipendenti) di Venegono hanno scioperato lo scorso giovedì e non si sono presentati in fabbrica, giudicando non affatto indispensabile la produzione loro affidata, nonostante le pressioni del Prefetto di Varese e le arroganti affermazioni dell’amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo. Non è cosa da poco visto che non era mai successo un evento simile nel settore aeronautico varesino, nemmeno con i movimenti degli anni ’60 e ’70.

Travolti dalla tragedia in corso e dall’affanno che ci opprime, diamo scarso rilievo a fatti straordinari, che indicano probabilmente il cambio di direzione del nostro futuro, reso precario da comportamenti ormai insostenibili e illusoriamente proiettato a non convivere con la natura la pace ed il diritto ad un lavoro sano e dignitoso.

Non ha avuto adeguata risonanza un fatto che per me, che abito vicino alle fabbriche aeronautiche di Varese che producono in prevalenza armamenti, rappresenta una svolta nel sentire e nell’agire popolare. All’Alenia Aermacchi (oltre 1000 dipendenti) tra sostegno alla salute in emergenza pandemica e difesa della produzione bellica, le lavoratrici e i lavoratori hanno scelto la prima.

Rifiutandosi di stare al lavoro lo scorso fine settimana, nonostante la dichiarazione del Prefetto di Varese di “indispensabilità” delle loro prestazioni anche in tempi di coronavirus, hanno aperto un conflitto ed un confronto fin qui inedito. Eppure, Alessandro Profumo, ad di Leonardo – il gruppo cui appartengono Aermacchi e Agusta (caccia ed elicotteri ad impiego militare) – , sul Corriere della Sera era uscito con un titolo perentorio: “Tecnologia e sicurezza nazionale, Leonardo non si può fermare”.

Ma anche dopo “l’aiutino” del quotidiano lombardo l’azienda, di fronte alle resistenze dei dipendenti, si è dovuta rassegnare ad una trattativa con Fim, Fiom, Uilm locali e nazionali per il rallentamento della produzione, il rispetto delle esigenze personali e l’utilizzo delle compensazioni salariali per le fermate della produzione, da concordare con la presenza diretta dei delegati di fabbricaL’accordo raggiunto sabato 28 marzo smentisce le motivazioni del Prefetto di Varese e le dichiarazioni della Direzione (che vede lo Stato come primo azionista) e che si possono riassumere in affermazioni che escludono ripensamenti a fronte della crisi epocale in corso. Infatti, nell’intervista sopra citata, l’ad afferma che “mai come in questi giorni ci siamo resi conto di quanto sia imprescindibile garantire i nostri confini” e – aggiunge – “Seguiamo con attenzione il dibattito che sta toccando anche il nostro settore, polarizzandosi sempre più verso una dicotomia salute-lavoro”.

Ma “grazie al senso di responsabilità e al sacrificio di molti colleghi, che desidero ringraziare personalmente, Leonardo – in costante raccordo con il Ministero della Difesa in primis e con gli altri interlocutori istituzionali – ha continuato a garantire l’operatività e il funzionamento di servizi strategici ed essenziali per il Paese”.

Foto tratta dal Flickr Ministerio de Defensa del Perú

Perché allora, ci dovremmo chiedere, non l’ha fatto direttamente con chi ogni mattina lascia la propria casa, si accompagna ad altri su sistemi di trasporto con pericolo di contagio e poi, al lavoro, si pone a contatto con altre persone a rischio per produzioni non “indispensabili”? Come si può perpetuare, senza un minimo di esitazione ed un irrinunciabile progetto di riconversione, la sopravvivenza della produzione di velivoli da guerra in quanto incorporano un “sistema industriale e la continuità di competenze di altissimo valore tecnologico, eredità di investimenti in ricerca e sviluppo”, che proprio perciò sarebbero da destinare ad emergenze sociali ed ambientali non più procrastinabili?

È un merito indubbio del sindacato unitario quello di aver retto e diretto la spinta delle lavoratrici e dei lavoratori senza recedere rispetto al loro diritto alla salute, e – chissà mai nel dibattito che si è aperto – alla pace e all’uscita dal sistema dei fossili, su cui continua a basarsi ogni attività che ha a che fare con le armi.

Le buone ragioni esibite in questo frangente hanno dato già primi frutti. Leonardo ha comunicato di aver intrapreso una serie di iniziative per sostenere lo sforzo di tutti coloro i quali stanno garantendo con il loro impegno quotidiano le attività per il contenimento del contagio da Covid-19, nonché l’assistenza ai malati e alle loro famiglie. Perciò ha messo a disposizione della protezione civile velivoli ed elicotteri ed ha “lanciato la produzione di un primo lotto di valvole per supportare il progetto di valvole in materiale plastico, che consentono di modificare un particolare modello di maschere per la respirazione”.

Forse la scossa che viene dal lavoro, anche quando è autonomamente e democraticamente conflittuale con l’impresa, può aprire una strada inesplorata per la riconversione ecologica e la salvezza del Pianeta. Lo dice anche uno stuolo di firme, a partire da Silvio Garattini, Don Colmegna e Gino Strada, per bloccare in questa fase drammatica e ripensare a breve la destinazione delle attività non insostituibili.

Un appello che conta ovviamente anche e proprio sul mondo del lavoro. A questo riguardo, non può che essere confortante che l’accordo sindacale per l’Aermacchi si concluda così: “Si conferma l’attivazione in sede locale di incontri di verifica e applicazione di quanto previsto nel presente protocollo anche alla luce dello sviluppo organizzativo delle attività produttive, che saranno condivise con le Rsu/Rls per garantire il massimo livello di sicurezza e prevenzione a tutela della salute dei lavoratori”. Di questo, aggiungono Fim, Fiom, Uilm, si ringraziano i lavoratori e le loro rappresentanze elette in fabbrica.

 

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