Educatrici tra “normale prassi e prestazioni alternative nell’emergenza”

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione a firma di un gruppo di lavoratrici su precarietà, esternalizzazioni e gestione dei servizi alternativi sotto l’emergenza coronavirus.

La normale “prassi” dei capitolati d’appalto

La questione del coronavirus 19 impone a tutte/i noi una riflessione collettiva sulle nostre condotte di salute in rispetto della comunità. I vari decreti sanciscono limitazioni e regole comportamentali, al fine di arginare la diffusione del contagio; queste creano inevitabilmente enormi difficoltà nella gestione di vita di intere popolazioni. Al di là della fatica di dover riorganizzare le proprie vite in assenza di tutti i servizi e delle agenzie sociali, pensiamo che l’emergenza più importante in questo momento sia senza dubbio quella del lavoro e dei salari di tutte/i noi che non viviamo di profitti e di rendite. Questo aspetto è tanto più critico per le famiglie con persone in situazione di disabilità per le quali, alla quotidiana gestione, si aggiunge la necessità di continuità riabilitativa ed educativa. Nello specifico delle educatrici dell’integrazione scolastica e dei servizi socio/sanitari, questa emergenza sanitaria ha semplicemente riproposto in modo drammatico la normale prassi stabilita dai capitolati d’appalto, secondo i quali si legittima il lavoro a cottimo in totale contraddizione con quanto previsto dal contratto delle cooperative sociali (sia pure pessimo).

Per quello che riguarda l’educatore scolastico, lo stipendio viene infatti pagato, fino a prova contraria, solo ed esclusivamente per le ore svolte frontalmente in orario scolastico, eccezion fatta per i gruppi operativi e rare ore di formazione (che vanno comunque recuperate dalle assenze delle alunne/i), oltre che per i giorni festivi (per gentile concessione dei giorni rossi del calendario). Nessuna ora di programmazione retribuita è prevista e la chiusura estiva delle scuole è compensata dal lavoro presso i centri estivi che garantiscono lavoro solo ad una minima parte di lavoratrici/tori; in alternativa subentra la FIS (fondo integrazione salariale, che arriva in busta paga all’80% mediamente dopo 6 mesi), oppure viene caldeggiata l’aspettativa. Ed eccoci ora alla ciliegina sulla torta: se la scuola chiude per “emergenza”, come nel caso di queste ultime settimane, le garanzie sono zero, catapultando migliaia di lavoratrici/tori in condizioni di indigenza in quanto lo stipendio non c’è.
Allo stesso modo vi sono le educatrici/tori appaltati a servizi sanitari che pur essendo dipendenti delle cooperative, devono attenersi a regole di impiego e disposizioni simili ai loro colleghi del pubblico, a fronte delle aberranti differenze per ciò che riguarda le tutele contrattuali ed operative.

Ad oggi sono incerti i destini di migliaia di lavoratrici e lavoratori dei servizi in appalto: Fis e riprogrammazione degli interventi riabilitativi sono gli argomenti che vano per la maggiore. Il Fondo di Integrazione Salariale copre lo stipendio per l’80%, arriva a distanza di molti mesi dalla sua attuazione; il recupero delle ore di servizio chiuso è impresa impossibile alla luce dell’enorme quantità di ore perse. Ad oggi il Fondo di Integrazione Salariale non è garantito. Per gli educatori in appalto al servizio sanitario di cui ancora non sono chiare le sorti.

É necessario maturare la convinzione che ogni soluzione palliativa ed estemporanea, ci riporta sempre e comunque al grosso problema di partenza: un welfare ridotto al lumicino e basato in massima parte sul lavoro precario delle esternalizzazioni.

Ci sono esternalizzazioni ed Esternalizzazioni come mostra ancora una volta il dramma coronavirus: la sanità privata che ha rimpinguato le proprie casse a discapito di un brutale de finanziamento del servizio sanitario nazionale, ora viene chiamata a dare aiuto nell’emergenza, pensiamo forse che lo farà gratuitamente? E così anche per imprenditori e multinazionali che di questa emergenza faranno occasione di profitto – basti pensare alla questione apparentemente banale come la distribuzione e la speculazione dei dispositivi di base, disinfettanti e mascherine.

Siamo noi che in buona sostanza pagheremo il più alto prezzo di questo disastro sanitario, lavoratrici e lavoratori precari. É importante ricordare chi sono i nostri nemici reali; non è il momento di fare la guerra tra poveri; le/gli insegnanti e tutt* i/le lavoratrici/tori dell’impiego pubblico NON SONO i nostri nemici; è il momento in cui giungere ad una chiarezza collettiva e definita sulla nostra identità e dignità professionale.

Prestazioni educative alternative in situazioni di emergenza

Sono emerse in questi giorni delle proposte da parte di associazioni di familiari che chiedono alle istituzioni competenti, di poter impiegare gli educatori in prestazioni extrascolastiche in questo periodo di chiusura. Accogliamo positivamente alcuni aspetti di questa proposta, che ben si concilia con la nostra funzione professionale che non si riduce solo alle attività didattiche ma comprende ampi spazi della vita quotidiana delle persone a cui ci dedichiamo. Noi pensiamo che l’intervento domiciliare presenta aspetti positivi per quello che riguarda la progettazione di un intervento educativo focalizzato su obiettivi di autonomia personale, ma lascia ampi spazi di discrezionalità.

Evidenziamo due perplessità riguardo agli interventi educativi domiciliari:
– la prima riguarda le forti resistenze burocratico- amministrative che incontriamo durante lo svolgimento regolare dell’anno scolastico riguardante la possibilità di soddisfare gli obiettivi del Piano Educativo Individualizzato con i nostri alunni, fuori dalle quattro mura scolastiche. Vertenza di cui ci siamo fatte carico, in ottemperanza agli Accordi di Programma della città Metropolitana per l’inclusione scolastica, nei quali si chiede di rendere più flessibile l’impiego delle educatrici scolastiche per coprire bisogni complessi fuori da schemi rigidi di puro affiancamento alle attività didattiche letteralmente intese. Numerose le occasioni in cui abbiamo prestato servizio per svolgere l’intervento educativo con modalità differenti da quella frontale in orario/edificio scolastico, come esempio le situazioni di ospedalizzazione o di lunghe degenze domiciliari dei nostri alunni.

– La seconda perplessità riguarda invece, la possibilità di dare equo trattamento alle migliaia di educatori/educatrici coinvolti in questa situazione di chiusura delle scuole voluta dalle istituzioni con la conseguente indeterminatezza salariale.

1) La possibilità di recuperare le ore svolgendo il servizio domiciliare non è garantita a tutti dato che non tutti gli alunni e/o famiglie sono nella condizione di poter o voler recepire questo tipo di servizio.
2) Nuovamente il riconoscimento professionale si riduce a “tappare dei buchi” in assenza di un programma chiaro di intervento. La scuola interviene in termini di continuità del progetto educativo individualizzato già in atto? si possono predisporre i G.O di lavoro? l’ente locale dispone di un chiaro progetto generale di intervento in questo senso? Allo stato attuale rimane una manciata di operatrici che contattate a diverso modo chi dalle insegnanti di sostegno, chi dalle famiglie, chi dalle cooperative, deve dichiarare una disponibilità tanto indefinita quanto improbabile.
3) La situazione paradossale e grave in termini di omissione di responsabilità istituzionale, come si concilia con il ferreo dispositivo governativo sulla sicurezza sanitaria e il contenimento del contagio? La contraddizione più evidente oggi, ma ne potremmo elencare tante altre che riguardano il nostro agire lavorativo quotidiano, riguarda: da chi dipende la valutazione del rischio rispetto all’attivazione di interventi educativi  domiciliari e sanitari? Chi si assume la responsabilità della nostra salute? La cooperativa da cui dipendiamo? Forse l’Albo degli educatori a cui ci hanno costretto ad iscriverci? L’albo non serve forse a tutelare una categoria? Le Istituzioni presso cui (sub)lavoriamo, le istituzioni presso cui a parità di doveri e mansioni, il trattamento economico è diverso? Pensiamo agli insegnanti ed ai tecnici della riabilitazione sanitaria ad esempio.

La nostra proposta

Allo stato attuale pensiamo che l’unica soluzione accettabile sia quella del riconoscimento del salario pieno a tutte le lavoratrici e i lavoratori in quanto soci/dipendente da cooperative. Lo statuto dei lavoratori prevede che il lavoratore sia remunerato in forza del suo contratto, e l’attuale stato di forza maggiore non sembra sminuire il dettato della legge. Non si capisce infatti perché debba essere il lavoratore a sopportare l’eventuale passivo economico derivante da cause non attribuibili alla sua volontà. Inoltre le settimane di salario garantito senza aver prestato servizio, non sono che una piccola parte del riconoscimento di tutto il lavoro volontario che nostro malgrado prestiamo da decenni perché le gite scolastiche, la preparazione dei materiali di lavoro, la realizzazione di progetti documentati e la formazione continua e autogestita e tanto altro ancora, sono parte imprescindibile del nostro lavoro.

Questa emergenza sembra essere l’occasione dolorosa ma inevitabile, per far ascoltare la nostra voce e maturare una riflessione costruttiva su come migliorare la qualità del welfare. Allo stato attuale ne usciamo tutti perdenti, famiglie in primis, educatori e servizi ed è proprio questo il momento di essere consapevoli e coesi.

La nostra proposta operativa alternativa in situazione di emergenza è la seguente: chiediamo che i luoghi del nostro agire lavorativo siano i luoghi istituzionali in cui tutti i giorni lavoriamo in condizione protette e tutelate, con la possibilità di utilizzare materiali e strumenti utili alla programmazione .

Si allega protocollo per la sicurezza delle lavoratrici/lavoratori e alunni in caso di richiesta di intervento educativo domiciliare e intervento educativo ambulatoriale:
– per avere valore formale la proposta deve pervenire in forma scritta e non telefonicamente;
– si ha il diritto di richiedere preventivamente una valutazione dell’intervento che viene proposta alla luce del PEI: l’intervento educativo deve essere in linea con i bisogni effettivi del minore e degli obiettivi educativi (ai sensi della L.N.328/2000)
– il datore di lavoro deve essere in grado di garantire per iscritto il pieno rispetto della normativa sulla sicurezza e salute sul posto di lavoro: non solo deve aver fatto un’adeguata valutazione del rischio, ma deve essere in grado di formare PREVENTIVAMENTE l’operatore rispetto alle caratteristiche dell’intervento, ai rischi connessi e ai comportamenti da tenere;
– il datore di lavoro come da indicazioni AUSL deve fornire al lavoratore tutto ciò che è necessario alla tutela individuale a partire dal gel igienizzante;
– l’educatore deve essere messo in condizioni di poter svolgere la sua mansione SENZA trasformarsi in veicolo di diffusione, quindi fornito di tutti i e dispositivi di protezione;
– il datore di lavoro deve fornire precise e documentate indicazioni quanto al provvedimento che autorizza o richiede l’assistenza domiciliare o l’intervento educativo ambulatoriale da parte degli enti competenti;
– il datore di lavoro deve essere in grado garantire per iscritto e a fronte di precisa nostra domanda, la salubrità del luogo nel quale si svolge l’intervento individuale e la sua sanificazione (come da indicazioni fornite dai Sindacati).

Un gruppo di educatrici

 

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