L’emergenza CoronaVirus non ha risparmiato il mondo della scuola. In particolare, è emerso il tema della didattica a distanza che il Ministero e il dibattito mainstream hanno dipinto come soluzione alle difficoltà di questo momento.
Se è evidente che la tecnologia consente di mantenere un contatto con gli studenti quanto mai necessario, l’accelerazione acritica del dibattito e dei provvedimenti di questi giorni è preoccupante. Sappiamo bene che durante qualunque emergenza vengono spesso adottate misure e innovazioni che sono poi destinate a rimanere nella quotidianità lavorativa e sociale, senza che ci sia stato nemmeno il tempo di vagliare le diverse opzioni in campo, né di discutere i provvedimenti. Ma proprio perché siamo in questa situazione, proprio perché l’emergenza non sarà breve e perché i provvedimenti continueranno a influire sul nostro lavoro anche quando tutto sarà finito, occorre discuterne attentamente.
Anzitutto, un dato politico spiccio: in maniera analoga al campo della sanità – fatti i dovuti distinguo – anche nella scuola la deregulation, il taglio delle risorse, l’autonomia, il decentramento degli ultimi 30 anni hanno determinato una situazione estremamente disomogenea. Ciascun istituto, a seconda delle condizioni del proprio territorio e delle risorse a disposizione, ha reagito a suo modo componendo un quadro di radicale frammentazione che investe sia la didattica (ogni scuola, ogni classe, addirittura ogni docente ha fatto per sé, sia la situazione contrattuale (rispetto alla quale abbiamo già scritto qui )
Partendo da un’autoinchiesta sulle nostre modalità didattiche in questo periodo di emergenza, ci siamo confrontati sulla vastissima frammentarietà dello scenario che abbiamo davanti e su alcuni discorsi che lo caratterizzano. Abbiamo individuato alcuni nodi critici rispetto ai quali non abbiamo soluzioni, ma su cui riteniamo necessario un confronto per mantenere la barra dritta, dentro e nonostante l’emergenza. Ne è venuto fuori un decalogo, cui crediamo possa essere riconosciuta una lode piuttosto inquietante.
1. L’accesso alle risorse.
La tecnologia non annulla le condizioni materiali in cui viviamo e le risorse cui possiamo accedere. Fin dai primi giorni di questa emergenza è stato evidente che non tutt@ (né nel corpo docente, né all’interno delle classi) avevano libero accesso alla connessione online: avere un computer è diverso da avere un cellulare, avere la connessione tutto il giorno è diverso da averla per poche ore, usare la linea di casa è diverso da utilizzare i dati di un abbonamento. Il problema va poi riportato ad una differenza tra le diverse aree del Paese, caratterizzato da forti divisioni al suo interno.
Queste problematiche non sono relative solo alle classi, ma allo stesso corpo docente: la persona costretta a casa spesso deve condividere il computer con i vari conviventi. Non dimentichiamoci a questo proposito che chi svolge il lavoro domestico, e quindi quasi sempre le donne, viene costretto a ritagliarsi delle pause per svolgere la didattica a distanza, rendendo la sovrapposizione degli ambienti casa-lavoro ancora più faticosa da gestire.
Senza un ragionamento sulle possibilità di accesso alle risorse siamo inevitabilmente destinati ad aumentare le disuguaglianze che già esistono, tanto a scuola come nel resto della società.
2. La lingua
Al telefono, via Skype o in qualche piattaforma che consente le conference l’audio non è dei migliori. La linea si interrompe, le frasi a volte sono a scatti. Non sarebbe un problema così rilevante, se non fosse per il fatto che una buona fetta della popolazione scolastica non è di madrelingua italiana. Sono gli esami di lingua straniera più complessa che prevedono un suono disturbato, proprio perché apprendere la lingua in questo modo richiede una notevole competenza. Un discorso simile vale anche per i compiti scritti, non sempre fruibili pienamente dagli studenti. Si aumentano così le difficoltà per chi già è costretto a far più fatica.
I corsi di italiano L2 spesso non sono stati riattivati dalle scuole durante l’emergenza. Questi corsi sarebbero la condizione necessaria per permettere agli studenti e alle studentesse neoarrivate di accedere alla didattica online, dato che questo canale presuppone una conoscenza della lingua italiana che evidentemente non possono avere.
3. Accessibilità
Le/gli alunn@ che hanno diritto alla presenza in classe di un* insegnante di sostegno si ritrovano a casa, da sol@ o a carico della famiglia, posti davanti alla novità dell’e-learning, attraverso uno schermo e nuove consegne.
4. L’età
Si può chiedere ad una bambina di 6 anni di accedere alla sua lezione di italiano on line allo stesso modo con cui lo si chiede ad una ragazza di 16? Si può chiedere ad una docente di seconda elementare di preparare una lezione on line allo stesso modo con cui lo si chiede ad una professoressa di quinta superiore? Se la didattica on line non può mai dirsi sostitutiva di una didattica in presenza, questo diventa ancor più evidente per le/i bambin* più piccol*. Da un lato mancano a* più piccol* le competenze per comprendere le istruzioni scritte e per utilizzare programmi informatici. Dall’altro manca al corpo docente la formazione su quali programmi utilizzare e quale materiale adeguato trovare in rete.
5. Soggetti/oggetti
Tutti questi punti si intrecciano con un problema molto più radicato. Se l’alunna o l’alunno non hanno una buona consapevolezza degli strumenti, la didattica online diventa uno strumento che rende passivo il soggetto, che così diventa solo un numero connesso. Formarsi e formare le persone per evitare che ciò accada è condizione necessaria affinché qualsiasi forma di didattica online sia possibile.
Inoltre, ciò che stiamo apprendendo in questo periodo è che la maggior parte delle persone “native digitali”, in realtà, non sa usare gli strumenti telematici in maniera appropriata. Spesso pure mandare mail o creare un account è un compito difficile.
Non diamo poi per scontato che la competenza del corpo docente sia maggiore. Dalle chat in cui ci troviamo sappiamo benissimo che le competenze diffuse non sono neanche lontanamente adeguate alla situazione in cui ci troviamo e si impiega molto tempo per apprendere il corretto funzionamento di registri e piattaforme.
È chiaro che in questa mancanza di competenza generale la governance diventa sempre più verticista: l’insegnante si impone sulla classe; la dirigenza si impone sul corpo docente a botte di circolari. Tanto tutto si fa di fretta, poi si vede.
Manteniamo il punto sulla necessità del confronto e della relazione, prima che sia troppo tardi.
6. Le materie
È bellissimo avere una schermata che illustra le nostre classi, gli argomenti trattati, le risposte della classe ai compiti. Ma la scuola non può essere una dispensa in cui le diverse discipline sono inserite nell’apposito scompartimento. Non basta svolgere un compito, un’attività, per poter affermare di aver sviluppato una competenza. Il meccanismo dei crediti esce rafforzato da quest’emergenza, fornendo l’illusione che per procedere nell’insegnamento (e nell’apprendimento) basti spuntare una casella corrispondente alle attività svolte a distanza.
Il processo di apprendimento prevede un confronto tra le discipline e la capacità di sviluppare collegamenti e ha bisogno di un tempo non misurabile per maturare. Senza contare che nella forma didattica online diverse materie sono svantaggiate (musica, educazione fisica, le attività laboratoriali…) perché poggiano sulla compresenza fisica di più persone o sull’accesso a determinati strumenti di uso non comune. Queste discipline non sono isolate rispetto al resto del percorso, ma andrebbero integrate nel percorso scolastico complessivo.
7. La relazione
Bisogna dirlo in modo chiaro: l’attività scolastica passa necessariamente dalla relazione. L’empatia e le emozioni giocano un ruolo centrale e le forme della didattica online impongono filtri inaggirabili in questo ambito. Ciò non vuol dire che non sia possibile stabilire forme di relazione attraverso gli strumenti online. Attraverso chat, videolezioni, mail, persino attraverso i compiti e le loro correzioni possiamo avere relazioni, ma sono ancora meno trasparenti rispetto al solito. Con un basso livello di consapevolezza dell’uso degli strumenti, lo scambio che normalmente avviene nella didattica, già di per sé problematico e sfaccettato, è impossibile da raggiungere.
8. La valutazione
“Non do valutazioni perché poi da casa copiano”, oppure “Se non mi mandano i compiti do valutazione negativa”: questa polarizzazione del discorso, molto frequente in questi giorni, è del tutto fuorviante. Prima di far danni dovremmo riflettere sul senso di dare valutazioni nel momento in cui le relazioni sono sospese nel limbo dell’emergenza. Occorre invece ripartire dalle base e ricordarsi che la scuola non è una fuga verso un numero che definisce chi sei e quali sono le tue capacità. E premiare le persone che studiano di più, è una forma di meritocrazia molto problematica in quanto isola le persone prescindendo dal contesto in cui sono inserite. Il rischio è di incoraggiare, una volta di più, una competitività dannosa che stabilisce chi sono i buoni e i cattivi, chi bisogna salvare, chi è perso.
Occorre rendersi conto che la valutazione così intesa, è diventato lo strumento con cui si sostengono o condannano comportamenti in maniera del tutto aleatoria. Noi stess@, le scuole di cui facciamo parte, siamo costantemente sottopost@ a valutazione, a prescindere dalle condizioni in cui viviamo. In questo momento conviene fare diversi passi indietro: parliamo dei metodi, del rapporto educativo in sé, parliamo di come svolgere la didattica senza farci prendere dall’ansia di mettere un numero sul registro. Ciò che ci stiamo giocando va molto al di là della valutazione in sé.
9. Privacy, tracciabilità, controllo
“Le piattaforme che usiamo rispettano la privacy”
Non è vero e nel mondo il problema comincia a diventare chiaro. Le app che usiamo nei nostri cellulari o che scarichiamo sui nostri portatili tracciano i nostri percorsi, richiedono accesso ai nostri dati, creano dei profili a scopo commerciale che dovremmo cercare di evitare il più possibile. Non è possibile non essere tracciat@ del tutto, e per certi versi è un problema che trascende la scuola, ma che a proporre acriticamente tali strumenti sia un’istituzione come la scuola è grave.
La questione del controllo, sempre maggiore, rispetto all’attività dell’insegnamento ora rischia di esplodere: il dubbio è lecito se leggiamo l’indagine avviata dal ministero sulla Didattica a distanza che si interroga sulle forme dell’insegnamento dell’emergenza, ex post, ossia senza che lo stesso Ministero abbia predisposto gli strumenti necessari.
A ciò si aggiungono dubbi del tutto materiali: da casa, lo studente o la studentessa possono sentirsi liberi di rispondere come meglio credono ad una domanda, anche se i genitori sono presenti? Chi insegna ha una situazione serena a casa per cui può permettersi di parlare di qualunque argomento? Si può parlare degli argomenti che trattiamo tranquillamente in classe senza l’intervento o l’ascolto di soggetti terzi che potrebbero seriamente limitare la libertà dell’insegnamento?
10. Proprietà
È bello svegliarsi in un mondo in cui le grandi multinazionali assumono una modalità filantropica regalando strumenti e piattaforme senza nulla in cambio. Purtroppo non è così.
Non avviene da ora: sono anni che la scuola paga per avere registri elettronici su cui abbiamo pochissima voce in capitolo. Durante questa emergenza, tuttavia, sta avvenendo un passaggio significativo. La ministra Azzolina in persona ha suggerito l’utilizzo dei servizi Google come strumento valido per la didattica a distanza. E così su Classroom svolgiamo Collegi Docenti, su Drive inseriamo i materiali, su Meet facciamo videolezioni, ovviamente con account Google. Abbiamo così un privato che entra molecolarmente nella scuola, addirittura sponsorizzato dagli organi decisionali.
Bisogna ricordarsi che Google (così come Youtube e Whatsapp, altri strumenti massicciamente usati in questo periodo) non è una piattaforma e ha tutto l’interesse a diventare insostituibile per estrarre la mole di nostri dati con lo scopo di ricavare profitto. Ci sono strumenti che non sono proprietà di enti privati, che non traggono profitto dalla profilazione dei nostri dati. È necessario tentare di utilizzarli il più possibile.
In questo periodo stiamo vedendo in modo chiaro qual è il problema della privatizzazione e della sanità pubblica. Dobbiamo dircelo chiaramente e dobbiamo farlo ora: dare in gestione un apparato dello Stato ad un privato è un problema serio.
10 e Lode.
Si lavora di più. Si lavora sempre.
Ciò che sta avvenendo con la didattica online, in realtà era già visibile da molto tempo in più settori: i lavori che svolgiamo stanno via via occupando sempre più tempo e non c’è alcun confine tra il lavoro e la vita.
Facciamo attenzione: non siamo un caso unico, al contrario. Buona parte delle attività lavorative prevede uno sforamento nella nostra vita privata, chi lavora come free lance conosce queste problematichesono da molti anni. Chiunque si prepara meglio, svolge corsi per migliorare la propria prestazione o per rimanere al passo. Chiunque viene chiamato a qualsiasi ora per chiarire un dubbio sul lavoro. Chiunque dedica tempo ad apprendere strumenti informatici. Questa cosa si chiama lavoro.
Il salto che sta avvenendo è l’istituzionalizzazione di questa modalità.
Le basi per questo cambiamento ci sono già, la didattica online è già stata sperimentata. Le scuole serali prevedono che si possa fruire a distanza della didattica di una parte del periodo scolastico in misura non superiore del 20% del totale (dpr 263/2012) con l’alibi della personalizzazione didattica e dello sviluppo di competenze digitali. Il risultato è (per lo meno secondo l’esperienza di molt@ insegnanti) che al docente è richiesto di erogare il 20% di didattica in più, cioè oltre le ore contrattuali per le quali veniva assunto e pagato.
Come avrete capito, 10 e lode non è poi un gran voto.