Alcuni giorni fa in una m-list di donne, qualcuna ha mandato una poesia invitando a leggerla in quanto parlerebbe delle “conseguenze anche positive” del momento attuale.
Trovo pericolosissimo che si parli di “conseguenze positive” perché significa che non si sa più distinguere tra l’autodeterminazione del nostro spazio/tempo e l’imposizione di misure reclusorie emergenziali.
E lo dico consapevole del mio privilegio di donna che da oltre un decennio ha deciso di lasciare la città per andarsene a stare in mezzo alla natura, a costo di ripartire da zero pur di vivere la vita che voleva.
Quindi oggi non devo starmene reclusa tra le 4 mura di un monolocale milanese ma posso stare all’aperto a piantare ortaggi e fiori e a godermi il profumo della primavera incipiente, avendo per dirimpettaia la montagna e non qualche infoiato che canta a squarciagola l’inno nazionale per dire che, in fondo, ‘va tutto ben, madama la marchesa’ .
Sono ben felice di avere, finalmente, il tempo di dedicarmi all’orto, visto che un sovraccarico di impegni me lo impediva dalla scorsa primavera. E caso vuole che sia pure tempo di piantagione secondo il calendario biodinamico, che seguo da anni.
Quindi tutto dovrebbe quadrare. O no?
No. Proprio no. Non sono così stolida né ingenua da pensare che questo “mio” tempo ritrovato sia veramente mio.
Sono consapevole che tutti i tromboni e le trombone che ora invitano gli italioti a riscoprire il calore del focolare domestico, i giochi dell’infanzia e un’infinità di altre cazzate da venditori di pentole bucate, non appena il governo dichiarerà terminata questa ennesima ‘emergenza’ ci inviteranno a tornare a lavorare con gioia e possibilmente a lavorare il doppio per recuperare il tempo perso, a rinunciare alle ferie perché, di fondo, ce le stiamo facendo ora (alla faccia delle ferie!!!) e quindi saremo belle riposate e pronte da spremere in nome del profitto.
E se decidesse di riprendersi il proprio tempo, cosa succederebbe?
Sono forse anche questi i “disordini” paventati da chi si sta organizzando in anticipo per reprimerli?
Chi non sta buttando queste giornate nel rincoglionimento catodico o dei social ma setaccia il web in cerca di stimoli di riflessione che vadano al di là dell’oppio del mainstream, chi si confronta – virtualmente, of course! – con la propria rete di relazioni amicali e politiche su quanto tutta la merda che il capitale ci ha propinato in particolare nell’ultimo secolo siano alla radice non solo del ‘salto di specie’ di questo coronavirus ma dell’indebolimento dei nostri sistemi immunitari… chi, insomma, oggi non si lascia infantilizzare né abbindolare dalle narrazioni dominanti, ma riflette e scambia informazioni e idee sarà considerata/o, domani, un pericolo da combattere?
E chi oggi ordina di essere solidali e cantare tutti in coro ai balconi ordinerà, domani, di tornare a scagliarci l’uno contro l’altro nella competizione.
L’imbolsito nutellomane non è altro che un miserrimo paradigma del tempo attuale nel suo abbaiare tutto e il contrario di tutto a seconda di come si sveglia e di come si farcisce a colazione.
Miserrimo paradigma di chi ci trita le ovaie con i crocieristi che non possono sbarcare e con i ricchi con seconda casa alle Canarie che non riescono a tornare in Italia o con altre news da rotocalco di quart’ordine, è però pronto ad armarsi per difendere i patri confini da barconi carichi dei subalterni della storia che chiedono conto all’Europa di secoli di dominio coloniale e neocoloniale.
Perché, diciamocelo chiaramente, in quello che si sta vedendo (se lo si vuol vedere) ci sono delle chiare connotazioni di classe.
Quelle connotazioni che in tanti non erano più in grado di cogliere, obnubilati dalle narrazioni della postmodernità o delle scalate sociali.
In Liguria come in Versilia migliaia di ‘bauscia’ lumbard in questi giorni scorrazzano allegramente sul lungomare dopo aver riaperto le loro seconde case.
Sono gli stessi che d’estate applaudono alle ordinanze razziste che negano agli immigrati perfino un po’ di ombra, si sentono protetti da squadracce di neonazi che pattugliano le spiagge contro i venditori stranieri e altre simili schifezze.
Sono gli stessi che oggi vogliono che gli operai e i portuali se ne vadano a lavorare – e, possibilmente, poi schiattino.
Sono gli stessi che, di fronte alle carceri in rivolta, si augurano che i detenuti brucino vivi così come di fronte ad un barcone pieno di dannati della terra si augurano che affondi o si augurano che un meteorite o un esercito spazzino via, una volta per tutte, gli abietti.
Sono gli stessi che, intrisi di retorica civilizzatrice, non vogliono sentir parlare di crimini coloniali – cioè di eccidi, stupri, schiavitù e diffusione di malattie mortali – ma si sentono offesi nel proprio ‘orgoglio nazionale’ se un paese straniero chiude le frontiere agli ‘untori’ italiani o li mette in quarantena.
Tornando al punto da cui ero partita, sarebbe meglio se, anziché cercare di consolarsi con le “conseguenze positive” di questa fase, si utilizzassero questi giorni per riflettere, confrontarsi e, soprattutto, prepararsi al ‘dopo’. Perché questo esperimento sociale – se pure per niente inedito nella modernità – è un punto di non ritorno e non lascerà semplicemente degli strascichi.
Ci aspettano tempi assai cupi, meglio arrivarci preparate!
Segnalo alcune letture che possono fornire degli spunti:
- i materiali pubblicati nel sito dell’Ambulatorio medico popolare
- la riflessione di una compagna della Coordinamenta romana
- un articolo su ogm e “salto di specie”
- Ugo Mattei sullo stato di eccezione
Ce ne sono molte altre, ma lascio a voi il gusto di cercarle. Sta per fare buio e devo ancora seminare il convolvolo….