Cronache dallo stato d’emergenza (Numero3)

Nulla sarà più come prima

Questo ci stanno dicendo. Siccome non si può mettere in discussione la società industriale – la cui costante fuga in avanti produrrà epidemie sempre più letali con frequenza sempre maggiore –, dobbiamo spingere ancora di più sull’acceleratore delle soluzioni tecnologiche. Siccome non si possono fermare la deforestazione, l’estrazione forsennata di materie prime, l’avvelenamento di aria e acqua, l’agricoltura e l’allevamento intensivi, la produzione di cibo artificiale e la devitalizzazione degli esseri umani, dobbiamo abituarci a convivere con le pandemie. Il 75% delle nuove malattie infettive sono trasmesse agli umani da animali selvatici a cui è stato distrutto ogni habitat naturale; a fare da “autostrade del contagio”, poi, ci pensano le polveri sottili prodotte dall’inquinamento (come ha scritto di recente un membro della Società italiana di medicina dell’ambiente). Quindi? Rendiamo a ciò che resta della fauna selvatica i suoi spazi e fermiamo questa corsa demente? No. Avanti tutta, sotto comando digitale!

Nulla dovrà essere più come prima

Questo lo diciamo noi. Apriamo il prima possibile spazi di discussione e di organizzazione dal basso. Nelle città, nei quartieri, nei paesi. E affrontiamo insieme tutto ciò che riguarda le nostre vite, dai bisogni materiali immediati alla medicina, dalla ristrutturazione economica che arriverà feroce alla direzione che vogliamo dare alla società. Che non vengano a dirci che dobbiamo pagare noi, ancora una volta. Che non ci vengano a parlare di Grandi opere per rilanciare la loro economia, di automazione della produzione, di 5G e di altre porcherie. Il virus non è la causa, ma la conseguenza della malattia industriale. E da quella dobbiamo partire, finalmente.

Sciopero internazionale degli affitti

È la proposta che dal 1° aprile si sta diffondendo in diversi Paesi (Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Svezia, Cile, Spagna…). Scrive, ad esempio, il Sindacato Inquilini di Gran Canaria, nel suo invito “all’intera classe operaia e agli inquilini a sostenere lo sciopero generale e lo sciopero degli affitti a tempo indeterminato”: «La situazione attuale non potrebbe essere più allarmante, non solo a livello sanitario, ma anche a livello economico e sociale. Le misure adottate dal governo, che ha dichiarato lo stato di emergenza in risposta al Covid-19, sono palesemente misure anti-operaie, del tutto superficiali (moratoria sui mutui limitata) e se ne fregano delle esigenze di base: migliaia di famiglie che vivono alla giornata, che sopravvivono con lavori mal retribuiti, persone che sono state licenziate illegalmente, famiglie rimaste senza reddito a causa dell’isolamento; tutti devono far fronte all’impossibilità di pagare l’affitto». E propone, in aggiunta: «Le case abbandonate nelle mani di fondi, società finanziarie e bancarie (in particolare quelle che sono state salvate con denaro pubblico) devono essere socializzate e rese disponibili alle migliaia di persone o famiglie che si trovano oggi senza alloggio».

Parole e barriere

“Un tiranno ha sconvolto la nostra vita, e si chiama coronavirus”. Gli ospedali diventano “trincee”, mentre i morti vengono trasportati su mezzi militari. Così nella mente si aprono scenari di guerra con tutto il loro portato simbolico ed emotivo. Perché le metafore evocano immagini e i termini concetti. Il linguaggio è tutto fuorché neutro: dà forma alle opinioni, enuncia delle relazioni che si dispiegano nel tempo. Le parole creano il mondo. Agiscono su ciascuno di noi e ci portano ad agire, in un modo piuttosto che in un altro.

Trattare una malattia come fosse una guerra rende ubbidienti, docili e, in prospettiva, vittime designate.

La scelta fra questa o quell’altra parola non è questione di lingua, ma di decisione politica. Politici: siete voi i fautori della paura e dell’odio contro l’altro. Avete trovato nel virus un’ulteriore occasione per delineare confini ed erigere barriere.

Ora che i potenziali infetti siamo noi

I container che lo Stato austriaco aveva preparato al Brennero in funzione anti-immigrati, da settimane sono usati per i controlli anti-Coronavirus di chi arriva dall’Italia. Le “misure eccezionali” in corso dovrebbero farci riflettere su quanto da sempre accade agli ultimi, ai senza-documenti, a quella parte di umanità buona da sfruttare fin che occorre e poi lasciar morire o rimpatriare. Di là dai privilegi dietro ai quali non ci accorgiamo più di vivere, ci sono coloro che sono tristemente abituati ad una quotidianità di distanze, controlli, visti, di “chissà quando potremo rivederci”. Mentre le merci corrono e migliaia di essere umani sono intrappolati ai confini d’Europa, forse potremmo accorgerci che il virus delle frontiere non passa in qualche settimana.

Oltre i confini, le lotte in carcere

Per le sommosse scoppiate nelle carceri il 7 marzo, giornali e televisioni si sono affrettati a parlare di azioni dirette dalla “criminalità organizzata”. (Lo stesso copione, non a caso, è stato poi usato per criminalizzare chi ha cercato di uscire dai supermercati senza pagare la spesa). Qualcuno ha invece parlato di “piano organizzato” da una non meglio specificata “mano anarchica”. Impensabile per lo Stato ammettere che si tratta di rivolte spontanee e in grado di comunicare velocemente tra loro, cresciute nella cattività di luoghi di tortura, anni di pestaggi, sovraffollamento endemico, condizioni igieniche repellenti; perché se ne sarebbe parlato diversamente, e se ne sarebbe parlato di più. Il fatto è che le rivolte stanno scoppiando anche in Spagna, Francia, Brasile, USA, Belgio, Venezuela, Iran, Perù, Sri Lanka, Colombia (dove, nel solo carcere di Bogotà, sono morti ventitre prigionieri)… Ora devono parlarne per forza. Persino Stati come l’Iran e la Turchia hanno scarcerato rispettivamente 110mila e 90mila detenuti. Persino il segretariato dell’ONU invita i governi ad adottare misure urgenti contro la diffusione dei contagi nelle carceri mondiali, dove sono rinchiuse 12 milioni e mezzo di persone. Sono proprio i prigionieri i primi a suggerirci che l’immenso stato di emergenza di cui oggi siamo i reclusi può e deve portare con sé le occasioni per liberarci e per liberare, guardando oltre i nostri confini.

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