La diffusione del contagio mette in risalto le forti diseguaglianze sociali presenti nei differenti paesi. Il maggiore impatto del coronavirus sulle comunità palestinesi di Israele e sulle comunità latine e afroamericane negli Stati Uniti ne è una evidente dimostrazione
Molte persone ritengono che il diritto di voto e la cittadinanza detengano uno status protetto nelle democrazie occidentali. Eppure la realtà odierna rivela come queste protezioni siano fragili, con la pandemia del coronavirus che evidenzia ulteriormente il violento risvolto del razzismo istituzionale.
Le numerose aggressioni perpetrate dai sistemi sociali razzisti a discapito della dignità umana delle persone di colore dovrebbero essere terreno fertile per l’indignazione collettiva e la richiesta di un cambiamento sistemico. Di fatto, da palestinese originario di Israele che attualmente vive negli Stati Uniti, è sconvolgente rendersi conto dei numerosi aspetti comuni tra i nostri due sistemi di oppressione: l’accesso limitato all’assistenza sanitaria per le comunità emarginate, lo stereotipo delle persone di colore come diffusori di malattie e il maggiore impatto della pandemia del Covid-19 su queste popolazioni.
Quando il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha accusato la popolazione palestinese di Israele di essere la meno propensa a rispettare le ordinanze di distanziamento sociale, ha cercato nei cittadini palestinesi un capro espiatorio per la diffusione della malattia ai cittadini ebrei israeliani. Non c’è da stupirsi perciò se simili messaggi, che incitano al pregiudizio verso gli immigrati e le minoranze, siano stati proferiti dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nei suoi continui riferimenti al COVID-19 come “virus cinese”.
I dibattiti circa l’eterogeneo impatto del Covid-19 sulle comunità palestinesi in Israele e nelle comunità latine e afroamericane negli Stati Uniti aumentano. Per esempio, vi sono prove crescenti di un elevato tasso di infezione e mortalità tra le persone di colore che vivono in comunità povere. Nonostante gli arabi di Israele siano rappresentati relativamente bene tra le professioni sanitarie, non lo sono nel comitato di pianificazione di emergenza del Ministero della Salute israeliano, come segnala Haaretz. Nel 2017, gli arabi hanno occupato il 12.4% dei posti di lavoro nella sanità pubblica e hanno costituito il 42% degli studenti di infermieristica , il 38% dei professionisti farmaceutici e il 17% dei medici di Israele. Del resto il servizio sanitario israeliano è stato descritto come un “modello di genuina comunanza tra arabi ed ebrei”. Eppure non c’è un solo ospedale pubblico in nessuna delle città o cittadine arabe di Israele. Inoltre, le comunità arabe residenti a Israele hanno un accesso alquanto limitato ai kit per il test al Covid-19 o a informazioni affidabili sulla diffusione del virus. Un piano governativo per costruire laboratori/centri di test drive-in ha fornito risorse per sette città ebraiche, ma neppure per una sola comunità araba. Solo una clinica in una città araba è stata designata come clinica primaria per il Covid-19, rispetto alle 45 nelle città ebraiche. Peraltro l’informazione pubblica circa la pandemia è stata quasi interamente diffusa in ebraico. I membri arabi della Knesset (parlamento monocamerale di Israele) stanno lottando duramente per chiedere informazione sanitaria in lingua araba e l’incremento dei test nelle comunità arabe, nonché lo sviluppo di un piano di sostegno economico. Alla faccia di un modello di uguaglianza.
Si possono constatare simili disuguaglianze in tutti gli Stati Uniti. Queste problematiche sussistono in un contesto condiviso di disuguaglianza sistematica in cui le stesse popolazioni vengono maggiormente trascurate rispetto all’attuale pandemia e sono anche coloro che vivono in povertà, fanno parte della classe operaia e sono sproporzionalmente colpiti da condizioni di salute pregresse che aumentano la vulnerabilità agli effetti del Covid-19.
In sostanza, il maggiore impatto del coronavirus sulle comunità arabe di Israele e sulle comunità latine e afroamericane negli Stati Uniti verrà trascurato dalle istituzioni formali, proprio quando questi individui necessitano di una maggiore assistenza. Questa negligenza è ancora più marcata per i palestinesi in Cisgiordania e Gaza che continuano a soffrire sotto un’occupazione militare illegale, un assedio e la negazione dei diritti umani. Questa è una lezione sulle reali limitazioni della cittadinanza, ma probabilmente non è nei pensieri della maggior parte di coloro che non appartengono a queste comunità. Le persone di colore conoscono direttamente il funzionamento di questi sistemi, poiché sono i più colpiti dai fallimenti e dalle ingiustizie di quest’ultimi.
Questa realtà è anche il principale responsabile dell’ulteriore sofferenza, angoscia e amarezza di cui sto avendo esperienza. Voglio sperare assieme a tanti altri di ogni cultura ed estrazione che credono nella dignità umana. Gli enti governativi sanitari dovrebbero lavorare per essere all’altezza dei principi fondamentali delle professioni di cura.
L’autore è professore di Scienze della Comunicazione alla Adelphi University di Long Island, New York. Nato e cresciuto a Nazareth, è cittadino palestinese di Israele.
L’articolo è tratto da Mondoweiss, portale indipendente statunitense di informazione sul Medioriente.
Traduzione di Giulia Musumeci per Dinamopress