40 anni di tagli alla sanità italiana

13 marzo 2020

Storia minima di 40 anni di tagli alla sanità italiana

L’emergenza di queste ore non è solo frutto della contingenza, ma un problema strutturale vecchio di almeno quattro decenni. Tutti i numeri del sistema sanitario italiano, considerato ancora tra i migliori al mondo

Negli ultimi giorni il dibattito pubblico italiano ha imparato a fare i conti con la locuzione medicina delle catastrofi, l’ambito scientifico che si occupa di mettere a punto una risposta sanitaria adeguata di fronte a situazioni emergenziali e alla conseguente scarsità di risorse mediche. Diverse testimonianze giornalistiche raccontano di un sistema sanitario pesantemente sotto stress, con reparti di terapia intensiva sull’orlo del collasso e dolorose scelte sui pazienti da intubare.

All’allarme lanciato dai media si è aggiunta in queste ore l’apprensione del sindaco di Bergamo Giorgio Gori, che su Twitter ha parlato di “pazienti lasciati morire” perché non possono essere trattati. Al momento non esistono dati certi sulla saturazione delle strutture lombarde e numerose voci mediche escludono apertamente simili ricostruzioni, ma in nessun caso i pazienti sarebbero comunque “lasciati morire”, dal momento che anche in assenza di respiratori sono previste tutte le cure necessarie.

Ciò che sappiamo con certezza, invece, è che lo stato in cui versa oggi la sanità italiana non è unicamente frutto della contingenza. È un problema strutturale, piuttosto, figlio di precise scelte di finanza pubblica, che nell’arco di 40 anni hanno contribuito a indebolire un servizio sanitario considerato, nonostante tutto, ancora tra i migliori al mondo.

I numeri della sanità italiana

Nel 2018 l’Italia ha speso per il sistema sanitario nazionale l’8,8% del Pil, una percentuale che scende al 6,5% considerando solo gli investimenti pubblici. Facciamo peggio di Stati Uniti (14,3%), Germania (9,5%), Francia (9,3%) e Regno Unito (7,5%), ma sostanzialmente in linea con la media Ocse, ferma al 6,6%. Sotto di noi solo i paesi dell’Europa orientale, Spagna, Portogallo e Grecia.


In numeri assoluti ciò si traduce in un esborso per lo stato di 2.326 euro a persona (2mila meno della Germania), complessivamente 8,8 miliardi più rispetto al 2010. Un tasso di crescita dello 0,90%, dunque, che con l’inflazione media annua all’1,07% si traduce in un definanziamento di 37 miliardi. La Fondazione Gimbe calcola che il grosso dei tagli sia avvenuto tra il 2010 e il 2015 (governi Berlusconi e Monti), con circa 25 miliardi di euro trattenuti dalle finanziarie del periodo, mentre i restanti 12 miliardi sono serviti per l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica tra il 2015 e il 2019 (governi Letta, Renzi, Gentiloni, Conte).

Realizzazione grafica di Fondazione Gimbe

Come si legge nell’annuale relazione della Corte dei Conti, la frenata più importante è arrivata dagli investimenti degli enti locali (-48% tra il 2009 e il 2017) e dalla spesa per le risorse umane (-5,3%), una combinazione che in termini pratici si ripercuote sulla quantità e sull’ammodernamento delle apparecchiature, oltre che sulla disponibilità di personale dipendente, calato nel periodo preso in considerazione di 46mila unità (tra cui 8mila medici e 13mila infermieri).I mancati investimenti si fanno sentire soprattutto nel sud Italia, dove tutte le regioni (eccezion fatta per il Molise) spendono meno della media nazionale.

I numeri negli ospedali

I dati più affidabili per aiutarci a capire ciò che sta realmente accadendo negli ospedali italiani arrivano dall’annuario statistico del Servizio sanitario nazionale e sono aggiornati all’anno 2017. I posti letto complessivamente disponibili nelle strutture pubbliche sono 151.646 (2,5 ogni mille abitanti), che sommate alle oltre 40mila unità incluse in strutture private rappresentano un calo del 30% rispetto all’anno 2000. L’unica regione in linea con la media Ocse è il Friuli Venezia Giulia, che conta 5 posti ogni mille abitanti, quasi il doppio della media nazionale).

Numero di posti letto per pazienti acuti in Italia, dal 1980 a oggi (Organizzazione mondiale della sanità)

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’Italia ha a disposizione 164mila posti letto per pazienti acuti (272 ogni centomila abitanti), dato calato di un terzo dal 1980 a oggi. I posti in terapia intensiva sono invece poco più di 3.700, che diventano 5.300 (8,4 ogni 100mila abitanti) se consideriamo anche le strutture private. Attualmente, sul territorio nazionale, i pazienti ricoverati in terapia intensiva a causa del Covid-19 sono 1.028, di cui 560 nella sola Lombardia.

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FONTE: https://buseca.wordpress.com/2020/03/13/40-anni-di-tagli-alla-sanita-italiana/2/

 


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