22 otobbre 2020, di Vittorio – Malamente #19 (ottobre 2020)
Rompere la paralisi
Quando è stata estesa la zona rossa su tutta Italia ero a cena da amici. Al pomeriggio ero andato a osservare la “frontiera” sul fiume Cesano, la provincia di Pesaro era infatti già zona rossa, teoricamente inaccessibile. Sul ponte il solito via vai, soltanto in alcune ore le pattuglie stazionavano pigramente ai lati della strada. Improvvisamente la notizia è rimbalzata sui social e ci ha raggiunti quando eravamo arrivati al dolce.
Ci siamo accorti che l’epidemia e le sue conseguenze sociali stavano facendo un salto di scala a cui non eravamo minimamente preparati. Abbiamo telefonato ad altri amici che stavano lavorando vicino a Modena: “tornate stanotte altrimenti rischiate di rimanere bloccati là!”. Incertezza, timore e confusione informativa avrebbero dominato le settimane successive un po’ per tutti e tutte.
Poi è arrivato il lockdown e nella provincia adriatica qualcuno ha provato a scherzare dicendo che per strada sembrava che il tempo si fosse fermato alla domenica pomeriggio… ma a parte l’ironia è stato evidente che le conseguenze economiche e sociali sarebbero state molto dure, specialmente per chi non aveva un reddito fisso.
Ho iniziato a parlare della necessità di “fare qualcosa” con molti amici e compagni, cercando di capire se ci fosse qualcuno che si stava attivando in questo senso. La Protezione civile era stata allertata, le forze dell’ordine di ogni tipo e colore erano scese in strada come un esercito di occupazione e si moltiplicavano le ordinanze restrittive, ma da parte di quello che resta dei “compagni”, tra centri sociali, associazioni e piccoli partiti politici, nessuna iniziativa concreta all’orizzonte, eravamo completamente impreparati.
Poi, qualche giorno dopo il lockdown nazionale, iniziano ad arrivare da Milano notizie della costituzione del gruppo Brigate Volontarie per l’Emergenza e del tentativo di portare beni di prima necessità alle persone costrette in casa. Giovani con mascherine improvvisate nelle strade vuote della metropoli, sorrisi dai portoni semichiusi, tentativi di rompere la narrazione catastrofica e paralizzante che invadeva i media a ogni ora.
Così, visto che con le organizzatrici e organizzatori di questa esperienza milanese avevo già da tempo un’amicizia politica e dei contatti avviati, ho provato a lanciare la proposta di fare una cosa simile nella mia città, Senigallia. All’inizio non è stato semplice, tutti i contatti o quasi sono avvenuti a distanza, su internet e per telefono perché avevamo timore a muoverci e riunirci per via dei divieti. La quotidianità di tutti era sconvolta dalla nuova situazione. L’epidemia era in crescita esponenziale, l’emergenza sanitaria all’inizio di marzo ha colpito pesantemente le provincie di Pesaro e Urbino e di Ancona.
I contatti frenetici delle prime settimane hanno portato a qualcosa. L’associazione Malamente, nata per sostenere l’edizione della rivista, si è messa a disposizione per dare una cornice formale ai volontari che iniziavano a farsi avanti, il centro sociale Arvultùra che poteva tenere aperto il sabato mattina grazie al mercato biologico di cibo ha dato un appoggio logistico per i materiali, il Comune di Senigallia ha aperto alla possibilità di affiancarsi a un gruppo di lavoro sull’emergenza che si stava costituendo faticosamente sul territorio.
Cosa potevamo fare? Cosa serviva?
Nella prima fase del lockdown è emersa con forza sul territorio la necessità di assistere le persone che per motivi sanitari o di reddito non erano più auto-sufficenti per la spesa alimentare e di medicinali. Il Comune, in collaborazione con la Caritas locale, ha attivato un centralino telefonico che ha iniziato a raccogliere decine di richieste al giorno. All’improvvisa mancanza di reddito di migliaia di persone, lo Stato ha risposto con i bonus dell’INPS che però sono arrivati con tempi e modalità frammentarie. Intanto i Comuni hanno provato a redistribuire un po’ di risorse con i buoni spesa, che si sono esauriti in poche ore o giorni evidenziando quanto fosse estesa la platea dei cosiddetti nuovi poveri, o comunque quanto l’impatto dell’epidemia avesse indebolito un’ampia fetta della popolazione che lavorava precariamente.
Intanto i volontari e le volontarie aumentavano ogni giorno. Il contatto con le Brigate di Milano è stato fondamentale per accelerare e migliorare la formazione di base delle persone che volevano operare con noi. Nella metropoli lombarda i nostri compagni milanesi avevano stabilito una forte collaborazione con Emergency, grazie alla quale abbiamo potuto anche noi ricevere una formazione online sui principi di sicurezza sanitaria di base e stilare un protocollo operativo per muoversi il più possibile in modo efficace e sicuro.
Siamo arrivati ad avere a fine aprile la disponibilità, variabile e non per tutti con la stessa intensità, di 50 persone, tantissime per una città di meno di 50.000 abitanti come Senigallia. Le riunioni con i volontari e le volontarie si sono svolte su internet in una modalità insolita e faticosa per quasi tutti noi. Ogni volta che ci vedevamo nello spazio elettronico c’era comunque un grande desiderio di comunicare e di sentirsi parte di un gruppo, attivi oltre la passività e la paranoia coltivate dal flusso mainstream. Lo spazio del mercato bio Mezza Campagna è stato importante, permettendoci di incontrarci di persona seppure per piccoli gruppi e non molto a lungo. Negli incontri tra i banchi di pane e verdura il gruppo si rafforzava, si stringevano nuovi rapporti, ci scambiavamo informazioni e materiali per l’operatività della Brigata.
Improvvisamente, e in modo sorprendente, si era formato un gruppo ibrido: militanti politici da una vita a fianco a chi non aveva mai partecipato a un gruppo associativo, età diverse, dai 18 ai 60 anni, donne e uomini, formazione politica e culturale differente. A mettere tutti insieme, la necessità umana di reagire. C’è stata poca retorica nell’azione di quelle settimane, quasi nessun bisogno di spiegare e argomentare perché mettevamo il nostro tempo e i nostri corpi in strada. Si scherzava sulla necessità di uscire dalla cornice paralizzante del lockdown domestico, ma anche si rifletteva nelle lunghe riunioni, prima online e poi in presenza, di come la rottura della normalità portata dal virus fosse comunque un’opportunità per mettere in crisi una routine opprimente.
Le Brigate Volontarie per l’Emergenza di Senigallia hanno iniziato a operare il 26 marzo, nel quadro di alcune ordinanze regionali che garantivano la possibilità di intervento alle associazioni di volontariato in coordinamento con i Comuni e gli Ambiti territoriali dei servizi. Da fine marzo a fine aprile abbiamo collaborato con il centralino che raccoglieva le richieste di aiuto e le smistava ai gruppi di volontari operativi sul territorio comunale e anche oltre. Il centralino ci inoltrava richieste di spesa alimentare e medicinale da persone del territorio e noi andavamo a coppie nei supermercati, accolti in modo amichevole da cassiere stremate, solcavamo le corsie percorse da tante persone tristi e indaffarate dietro mascherine improbabili, con le nostre pettorine gialle con il logo delle Brigate. Poi, nelle strade semi deserte, arrivavamo nei palazzi o anche in case di campagna a consegnare le spese, spesso ad anziani o a famiglie numerose, e in questi primi contatti abbiamo toccato con mano l’estensione e l’intensità del bisogno materiale.
Abbiamo svolto tramite questo canale più di cento interventi fino ai primi di maggio. Intanto il Comune, in collaborazione con la Protezione civile e la Caritas, aveva aperto un magazzino per raccogliere le donazioni alimentari e produrre dei pacchi da consegnare a famiglie segnalate dai servizi sociali. Il territorio coinvolto andava da Senigallia a Montemarciano, comprendendo anche i comuni dell’interno fino a Ostra Vetere. Anche in questo canale abbiamo distribuito decine di pacchi, riuscendo a farci un’immagine della distribuzione della povertà e della vulnerabilità sociale sul territorio. Le famiglie immigrate ammassate nelle mansarde agli ultimi piani dei palazzi signorili del centro storico, nelle palazzine fatiscenti ai margini dei quartieri residenziali, nelle case popolari e nelle frazioni rurali. Le transessuali e le lavoratrici del sesso nei villaggi vacanze semi deserti e spettrali, tutti uniti dal bisogno ma separati da invisibili linee di distanza e invisibilità sociale.
Intanto al centro sociale Arvultùra partivano i progetti BAMS e BIMS, un tentativo di costruire una base autonoma di mutuo soccorso alimentare per famiglie e singoli in difficoltà, che fosse in grado di auto-sostenersi con le donazioni presso il mercato bio e una rete di negozi e fornitori locali. I volontari delle Brigate hanno collaborato attivamente con il progetto che è cresciuto rapidamente, anche grazie alla partecipazione di alcuni dei beneficiari che hanno capito lo spirito di aiuto reciproco alla base dell’intervento. Così, quando a inizio maggio con l’apertura della cosiddetta “fase 2”, il Comune e la Caritas hanno deciso di fermare la distribuzione dei pacchi viveri, il progetto BAMS è continuato con il sostegno dei volontari delle Brigate e del centro sociale. A giugno aveva totalizzato 224 pacchi donati a una rete di 194 persone, tra adulti e tanti bambini. Il progetto ha puntato nei mesi successivi meno sulla distribuzione diretta e più sul ritiro sul posto da parte dei beneficiari, aprendo inoltre uno sportello di ascolto e consulenza legale e lavorativa.
La risposta sui territori
Nel resto delle Marche ci sono stati anche altri tentativi di attivazione dal basso in diversi territori. Nella provincia di Pesaro e Urbino si è sviluppato il Gas Nomade, che ha distribuito i prodotti dei contadini locali in diversi comuni di un territorio duramente colpito dalla pandemia (abbiamo raccontato questa storia su Malamente #18, giugno 2020). A Fano è nato SMS, S-NODO di Mutualismo e Solidarietà, una iniziativa di raccolta alimentare e di abiti per bambini che è durata fino a luglio. Ad Ancona, grazie a un confronto diretto con l’iniziativa delle Brigate di Senigallia, anche lo Spazio comune Heval e la sua rete sociale legata allo sport popolare si sono costituiti in un gruppo di volontari. Proprio nel capoluogo dorico le necessità delle classi popolari sono esplose nelle prime settimane del lockdown con grande forza e visibilità. In particolare nel quartiere degli Archi, ma anche in tutta la zona metropolitana fino a Falconara Marittima, i militanti e volontari dello spazio Heval hanno distribuito pacchi alimentari e per l’igiene personale dall’inizio di aprile a fine maggio raggiungendo centinaia di persone.
Per quanto riguarda il capoluogo regionale la mobilitazione più rilevante, probabilmente la più importante nell’ambito marchigiano, è stato il “cacerolazo” del primo maggio. Alle 18 decine e decine di famiglie dei maggiori quartieri popolari si sono affacciate alle finestre e ai balconi battendo le pentole; donne e uomini, bambini e anziani, il grido di protesta contro la povertà alimentare che colpisce anche famiglie di lavoratori poveri è risuonato forte. E’ stato un evento senza precedenti organizzato dalla Spazio Comune Heval, preparato da un lavoro capillare dei volontari impegnati nella distribuzione di beni di prima necessità. La massima partecipazione si è registrata nel quartiere degli Archi, attiguo al porto, che ha aderito praticamente al completo. Ma un buon esito si è registrato anche in altre zone popolari e multietniche come il “Piano” e “Brecce Bianche”.
In provincia di Macerata gli abitanti della cooperativa agricola di Casa Galeone hanno continuato a produrre e distribuire prodotti contadini e hanno sostenuto a livello locale la distribuzione solidale di pacchi alimentari.
Queste sono le iniziative solidali nate all’interno del mondo dei militanti anticapitalisti di cui abbiamo tenuto traccia: “in basso e a sinistra”, come direbbero gli zapatisti messicani. Amici e compagni ci raccontano di moltissime forme di solidarietà anche a livello di quartiere o di condominio, che magari non hanno raggiunto una forma pubblica e organizzata ma hanno messo in luce la diffusa capacità di cooperare e di organizzarsi nel momento della necessità specialmente da parte delle componenti più sfruttate della popolazione. Sarebbe poi interessante riflettere sulla portata, sulle contraddizioni e sui limiti dell’attivazione del mondo cattolico che sicuramente non ha fatto mancare la sua presenza, ma non è questo lo spazio adatto per farlo. Sottolineo soltanto che se da un lato la collaborazione delle Brigate con la Caritas locale nei primi periodi dell’emergenza è stata buona, non è mai stato possibile costruire una relazione orizzontale di scambio di informazioni e idee. A conferma che il modello di aiuto fornito dalla chiesa cattolica raramente tende a mettere in evidenza e a denunciare le cause economiche strutturali della povertà e della dipendenza. Esistono inoltre reti solidali interne alle comunità migranti sul territorio, in particolare alle comunità islamiche, che sono poco visibili e conosciute ma con le quali chiunque voglia lavorare a progetti a fianco di lavoratori e lavoratrici immigrati si troverà in contatto nel futuro.
Come Brigate, oltre alla solidarietà attiva abbiamo sempre pensato che fosse necessario essere presenti nei momenti di lotta politica e di denuncia pubblica sul nostro territorio, per non limitarsi a un’attività di assistenza sociale. Il 30 maggio abbiamo partecipato alla manifestazione sotto i palazzi della Regione Marche, nella campagna regionale per il reddito di quarantena, e a luglio abbiamo sostenuto l’azione del progetto BAMS che ha denunciato la situazione di famiglie di lavoratori poveri stipati nel residence privato Trocadero di Senigallia, mentre i padroni si intascavano abbondanti contributi pubblici. Infine, dal 21 giugno, le Brigate hanno organizzato il piccolo centro estivo Insieme Sottosopra con l’obiettivo di aprire uno spazio di gioco e socialità a prezzi popolari per bambini e bambine dai 6 ai 12 anni. L’esperimento ha funzionato grazie alla solidarietà di tante persone che lo hanno sostenuto anche economicamente e con l’ospitalità presso uno stabilimento balneare della città. In tutto hanno partecipato 35 bambini e bambine ed è rimasta, soprattutto tra una parte dei militanti più giovani del nostro gruppo, la voglia di continuare a produrre iniziative di sostegno alla socialità e all’educazione dei bambini e dei ragazzi, per sostenere legami di solidarietà e inclusione nella comunità locale.
Oggi il progetto delle Brigate è in una fase di ridefinizione. Abbiamo fatto tanti sforzi e la risposta di tante persone che hanno partecipato a diverso titolo alla nostra esperienza è stata positiva, tuttavia l’impressione che ho è che le dure condizioni economiche e sociali create dalla pandemia non ci porteranno presto alla rivolta contro il sistema economico che ci ha messi in questa situazione. La paura per la seconda ondata del virus e la confusione creata dal negazionismo della destra neofascista che si candida a governare la Regione hanno diviso ancora di più le classi popolari.
Nei primi giorni torridi di agosto a Senigallia si è svolto un importante incontro di gruppi autonomi e anticapitalisti di mutuo appoggio provenienti da molte città, da Catania a Como, passando per Napoli, Pisa e ovviamente le Marche e si è iniziato a ragionare sulla necessità di strutturare in modo più forte e organizzato le forme popolari di autodifesa rispetto ai rischi che la società dei disastri ci impone. Pandemia, cambiamento climatico, povertà alimentare, dissesto del territorio minacciano la sicurezza delle classi più povere e non ci sembra giusto né saggio consegnare e delegare la nostra sicurezza nelle mani dello Stato o delle mega aziende come Google, Apple o Facebook. Come organizzarsi? Non sappiamo con certezza quale sia la strada migliore ma sappiamo che il tesoro sociale e politico del mutualismo che si è attivato in questi mesi non deve essere disperso ma potenziato. Ne avremo bisogno ancora in un futuro molto vicino.