Leggi i comunicati delle manifestazioni di Torino e Roma, contro razzismo e stato di polizia
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Torino. Sabato 6 giugno, piazza Castello. Migliaia di persone hanno partecipato al flash mob antirazzista per ricordare George Floyd e per opporsi al razzismo. Finito il sit in, è partito un corteo spontaneo per le strade del centro, che ha imboccato via Roma, via Lagrange, piazza Carlina, via Po. Nonostante il violento acquazzone che ha investito la città nel tardo pomeriggio, la manifestazione ha raggiunto il comune in piazza Palazzo di città e di lì ci si è mossi verso Porta Palazzo, corso Giulio Cesare, passando davanti al palazzo della Lavazza guardato a vista dai blindati per guadagnare lo spazio di fronte all’ufficio immigrazione della Questura in corso Verona, dove ha sostato a lungo. La lunga cavalcata si è conclusa ai Giardini (ir)reali.
In testa ragazzi e ragazze africane, che hanno scelto di essere i protagonisti di questa giornata di lotta.
Un segnale forte e chiaro che la misura è colma, che è tempo di farla finita con una “normalità” violenta, escludente, dove il razzismo diventa l’arma con cui dividere gli sfruttati, soffiando sul fuoco della guerra tra poveri, per condurre meglio la guerra ai poveri.
Di seguito il volantino distribuito in piazza dalla F(A)T:
“Dall’Illinois al Mediterraneo, sicurezza è un mondo senza razzismo e polizia
Negli ultimi cinque anni la polizia ha ucciso circa ottomila persone negli Stati Uniti. Buona parte erano afroamericani e latinos.
Gli States sono una società profondamente segmentata, sia socialmente che spazialmente, una società dove la linea della povertà si sovrappone a quella del colore.
Nei ghetti la polizia agisce con enorme violenza. Pestaggi, soprusi, insulti e omicidi sono normali. Chi sta nei ghetti o nelle zone “grigie”, rischia la vita ad ogni incontro con gli uomini e le donne in divisa.
L’assassinio di George Floyd, mostrato per nove interminabili minuti di metodica violenza, è stato la scintilla che ha fatto saltare una polveriera sociale.
Negli slum metropolitani, i poveri che vi sono confinati sono stati duramente colpiti dalla pandemia. Il numero dei morti è enorme tra le minoranze razzializzate del paese.
L’assistenza sanitaria è negata a chi non ha un’assicurazione: chi vive ai margini non ha ricevuto nessuna diagnosi e nessuna cura. L’elite bianca e ricca ha avuto accesso a prevenzione, ospedali e medicine negati ai poveri neri, asiatici, nativi, latinos.
La pandemia negli States continua a mietere vittime. Negli ultimi due mesi la disoccupazione tra gli afroamericani, già alta, è cresciuta enormemente.
Di fronte ai supermercati assaliti e saccheggiati, alle banche danneggiate, alle auto di lusso fatte a pezzi, ci sono persone prive di libertà e diritti. In primis quello alla vita.
Vuoti a perdere, persone sacrificabili, che in questi mesi hanno visto morire tanti parenti, amici, vicini di casa, mentre i suprematisti bianchi, di cui Trump è l’emblema, manifestavano armati contro il lockdown.
Tra l’Italia e gli States la distanza non è poi così grande.
Quante volte la polizia ha assalito gruppi sociali e politici considerati “pericolosi” perché poveri o radicalmente critici verso un sistema sociale feroce?
Nel 2001 a Genova il governo autorizzò la polizia a torturare, sparare, arrestare. La grande rilevanza mediatica dell’evento rese impossibile occultare i massacri per strada, alla Diaz, a Bolzaneto. L’assassinio di un giovane manifestante freddato dalla pistola di un carabiniere fu immortalato da un fotografo free lance.
La violenza sistematica della polizia nei commissariati, per le strade, nei centri di detenzione per migranti raramente affiora nei media main stream. Resta patrimonio di una narrazione sotterranea, che vive sulle panchine dei giardinetti di periferia, nei margini senza eco del web.
Quando ci scappa il morto, la vittima viene criminalizzata e i suoi assassini coperti da polizia e magistratura. Solo qualche falla nella macchina rompe il meccanismo.
Le morti nei CPR, la cui lista si è allungata negli anni, sono state affrettatamente archiviate.
Chi si ricorda del tunisino Fathi, lasciato morire nel CIE di Torino nel maggio 2008? Chi si ricorda di Vakhtang, ammazzato di botte nel CPR di Gradisca lo scorso 18 gennaio?
Quelle di Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, uccisi da polizia e carabinieri, non sono rimaste morti anonime solo grazie alla determinazione dei loro cari, che ha impedito che calasse il silenzio.
Nei ghetti dei braccianti/schiavi di Rosarno, Rignano, Saluzzo la polizia agisce come nei ghetti metropolitani degli States. A Rosarno i braccianti sono stati pestati ed uccisi dalle mafie dell’agroalimentare, al servizio dei padroni e protette dalla polizia.
La responsabilità è di chi ha scritto le leggi che danno il permesso di soggiorno solo a chi ha un contratto. I migranti senza carte diventano schiavi ricattabili, sottoposti ad infiniti soprusi e violenze. Se qualcuno alza la testa finisce ammazzato a colpi di doppietta. Nel 2018 a Rosarno sono morti così Sacko Soumayla, Madiheri Drame e Madoufoune Fofana.
La storia delle migrazioni attraverso il canale di Sicilia ci racconta una strage costata decine di migliaia di morti. I governi puntano l’indice su scafisti e trafficanti ma le stragi nel Mediterraneo sono state pianificate dai governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni.
Le frontiere chiuse ai migranti, gli accordi scellerati con la Libia, la criminalizzazione dei volontari che soccorrono i naufraghi sono i tasselli di un puzzle, disegnato a Roma ed affidato ai governanti libici e alle loro bande di predoni.
La legislazione contro i poveri, le ordinanze antibivacco, gli sgomberi delle case occupate, sono parte di un dispositivo costruito per isolare e mettere sotto ricatto i lavoratori migranti.
Negli States hanno impiegato la Guardia Nazionale per reprimere la rivolta dei ghetti.
In Italia i militari, promossi a poliziotti durante la pandemia, oggi sono a Saluzzo per controllare e deportare i braccianti che arrivano per la raccolta.
A Torino hanno stretto in una morsa le strade di Aurora e Barriera, quartieri dove la povertà, la precarietà, la difficoltà a mettere qualcosa in tavola, a pagare i fitti e le bollette, già forte, è aumentata durante il lockdown.
La necessità di circolazione delle merci e delle persone, insita nella logica capitalista, ha imposto la fine del lockdown, ma non la fine dei divieti e della militarizzazione. Anzi. Non sono consentiti cortei, ma è permessa la movida, è vietato fare sciopero, ma sono consentite le messe.
Il governo si prende pieni poteri e utilizza strumenti fuori dall’ordinario. Strumenti, che, anche “dopo” restano, sino a divenire normali.
Negli Stati Uniti la rivolta dei ghetti è il segno che di questa “normalità” è divenuta intollerabile.
Federazione Anarchica Torinese – FAI
Corso Palermo 46 – riunioni ogni martedì alle 21
www.anarresinfo.noblogs.org
Contatti: fai_torino@autistici.org – https://www.facebook.com/senzafrontiere.to/
Oggi siamo scesi in piazza a Roma per una manifestazione sull’omicidio di Floyd, in un presidio molto partecipato a Piazza del Popolo, con uno striscione “It isn’t only racism, it’s class war”, alcune bandiere e un volantino.
Di seguito il comunicato (in italiano e in inglese) ed alcune foto.
Gruppo Anarchico “Bakunin” – FAI/IFA Roma e Lazio
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