In piazza . Intervista a Maddalena Fragnito del movimento Priorità alla scuola, attivo da aprile. A fine agosto ha lanciato un appello per una mobilitazione generale il 26 settembre a Roma. Per ora ha aderito un ampio fronte sindacale: «Siamo nati dall’intreccio tra genitori, docenti e studenti, ora parliamo con i movimenti. La scuola non è solo di chi la vive, è anche un modo di prefigurare insieme un’altra società»
4 settembre 2020
Maddalena Fragnito, di Priorità alla scuola, com’è nato il movimento che ha lanciato la manifestazione di piazza del popolo a Roma del 26 settembre?
Siamo nati nell’aprile scorso. Da allora, in tutto il paese, abbiamo continuato ad allargare socialmente e politicamente una rete nata dall’intreccio tra genitori insegnanti e studenti. A fine agosto abbiamo lanciato un appello alla mobilitazione. Già oggi le adesioni che sono arrivate permettono di tenere insieme soggetti diversi tra sindacati confederali, di base e associazioni. Ora stiamo parlando anche con i movimenti come Friday for future, Black Lives Matter Italia e Non Una di Meno. Vogliamo provare a uscire dalle categorie e fare circolare un nuovo discorso su come si può immaginare una scuola diversa. La scuola non è un problema solo della scuola, ma di tutta la società. Il nostro problema è aprire la scuola in sicurezza e in continuità, come e cosa si insegnerà da oggi e per la prossima generazione.
Non è sufficiente l’attenzione prestata dal governo alla scuola nelle ultime settimane?
Tutto quello che abbiamo denunciato purtroppo non era una fantasia. Noi speravamo, muovendoci subito, che si sarebbe potuto fare serenamente una riflessione collettiva su cosa è mancato alla scuola in questi ultimi 30 anni. Abbiamo fatto una alleanza trasversale, creato 60 coordinamenti in tutto il paese, ma tutto questo non è ancora sufficiente. Dopo la chiusura delle aule a marzo per il Covid abbiamo chiesto di eliminare le classi pollaio, assumere più personale, sprecarizzare gli insegnanti, individuare spazi alternativi consoni per la didattica in presenza e scongiurare quella a distanza, tamponi rapidi a campione continuativi per monitorare e tracciare tempestivamente le infezioni, ripristinare il medico scolastico.
Non bastano i concorsi per 70 mila insegnanti e le 50 mila assunzioni precarie che sono state annunciate?
A parte il fatto che è tutto da vedere quando entrerà in ruolo la prima parte degli insegnanti assunti per concorso, il balletto di questi giorni sulle graduatorie dei precari era prevedibilissimo. Le scuole iniziano senza insegnanti e ricorreranno sempre di più a quelli precari e precarissimi. Per tutta l’estate sono state riempite paginate dei giornali sui banchi con o senza rotelle ma sembra che siano sfuggite cose piccole e essenziali. A Cuba, ad esempio, per risolvere il problema del distanziamento hanno semplicemente girato i banchi esistenti. Da noi ne hanno comprati tre milioni. In quel paese sanno di potersi affidare a un sistema sanitario che funziona. È questo che chiediamo anche noi: un sistema di tracciamento e monitoraggio efficace, riaprire le infermerie in ogni singola scuola.
Il sistema previsto in caso di infezioni lo ritiene sufficientemente sicuro?
È tutto da verificare. Per ora noi ci chiediamo se si possa prevedere un presidio sanitario delle Asl con un personale ridotto che potrebbe occuparsi in media anche di 23 istituti, considerando anche il fatto che spesso questi istituti hanno diverse scuole all’interno. Che cosa succederà nel caso in cui ci saranno problemi contemporaneamente? La questione sanitaria non è stata gestita nei termini che la logica avrebbe previsto.
Eppure ci sono le linee guida alle quali hanno contribuito anche le regioni. Non bastano?
A noi arrivano sempre più segnalazioni che le scuole le stanno interpretando a loro modo. Noi ci chiediamo che cosa può avvenire se fosse trovato sintomatico un insegnante di religione, di musica o di ginnastica le classi in quarantena per 14 giorni potrebbero essere molte. Nella nostra scuola i bambini non potranno andare a ricreazione e a mensa, staranno dalle 8 alle 16 seduti senza potersi scambiare una matita. La scuola diventa così un dispositivo disciplinare.
Avete chiesto investimenti per la scuola dal Recovery Fund. Ora il governo sembra pensarla allo stesso modo.
Siamo d’accordo ma non ci crediamo. Vedremo i fatti. Noi chiediamo 20 miliardi per scuola e ricerca. Non basta ricevere gli investimenti, ma capire come e dove investire. Certo se li mettono in girelli è meglio lasciarli all’Europa che magari li usa meglio. Ci muoviamo su un doppio livello: tecnico e strutturale per rimettere in piedi la scuola che cade a pezzi e riappropriarsi della scuola come esperienza. Da un lato, abbiamo bisogno di più spazi, più personale, prevenzione sanitaria. Dall’altro lato, in questi mesi, «Priorità alla scuola» ha riaperto un processo di immaginazione collettiva su cosa può essere oggi l’istruzione. I programmi e le metodologie di prima del Covid sono molto migliorabili. Bisogna aprire la scuola alla giustizia ambientale, alla decolonizzazione e alla riflessione non patriarcale e bianca e antisessista. 50 anni fa movimenti e intellettuali avevano visto nella scuola un luogo di costruzione del dissenso, della critica e della cittadinanza, Poi, anche a causa della precarizzazione. Si è persa l’idea che la scuola sia il luogo della prefigurazione di un’altra società. Oggi abbiamo l’occasione di cambiarla.
Come si rifletterà questa situazione di incertezza sulla vostra vita di genitori?
Il problema già si pone per chi ha un contratto a tempo indeterminato. Figuriamoci per chi, come noi, ha contratti precari e rischia di avere problemi di reddit