Le responsabilità a rovescio
Le quotidiane cronache della paura cancellano le responsabilità generali e specifiche dell’epidemia in corso, per rovesciarle interamente su chi non sta chiuso in casa, “untore” contro cui chiedere misure sempre più repressive (militari con funzioni di polizia, tracciamenti informatici della popolazione, inviti alla delazione, autorizzazione a usare i droni…). Chi ha smantellato la Sanità per logiche di profitto, aggravando così una situazione affrontabile in modo ben diverso? Chi ha tenuto aperte le fabbriche? Chi ha chiuso le scuole il 20 febbraio e i centri commerciali solo il 12 marzo? Chi è stato? Forse chi passeggia per strada o cammina su ciclabili e sentieri? E ancora: sono singoli “sciacalli” o un sistema a far sì che il prezzo delle mascherine per gli ospedali sia aumentato fino al 600 per cento?
Quale sicurezza?
Sono decenni che ci perforano i timpani con il grido “Sicurezza!”. Più telecamere, più controlli, più polizia, più carcere! Poi arriva un’epidemia di virus ed emerge tra le pieghe della coscienza e i non-detti della televisione che, se si fermassero l’autotrasporto e la logistica, nel giro di alcuni giorni nei supermercati non ci sarebbe più niente da mangiare. Che sicurezza possono avere degli esseri umani che dipendono da un sistema tecnologico e produttivo di cui non controllano più niente? Non si vive di tele-lavoro! Approfittiamo di questa “pausa” per riflettere. Senza riprenderci la terra e autogestire le fonti del nostro sostentamento alimentare, rinunceremo, assieme alla libertà e all’autonomia, anche alla sicurezza.
Telelavoro
Una delle sperimentazioni in corso, oltre al controllo poliziesco e militare, riguarda il lavoro: quanto e come può andare avanti l’economia senza che la gente esca di casa? Che cos’è, oggi, il “lavoro”? Ad approfittare di tutte le forme di telelavoro (che siano imposte agli impiegati o agli insegnanti) sono innanzitutto le multinazionali che possiedono le piattaforme informatiche e le diverse applicazioni. Da ogni attività online – gratuita o a pagamento poco importa – i “giganti del web” ricavano un’impressionante quantità di dati personali che analizzano e vendono. Tutto è un “dato” che si può processare e trasformare in merce: i gusti, le opinioni, il tono della voce, la mimica facciale, il libro citato dall’insegnante, le notizie relative alla salute, le paure, la reazione a certe notizie, il livello di attenzione degli studenti ecc. Nel migliore dei mondi possibili, anche un’epidemia – cioè milioni di persone chiuse in casa ma sempre connesse – diventa un ottimo affare. E un’occasione per giustificare l’introduzione della rete 5G, la cui funzione non è certo quella di permettere i contatti in caso di emergenza sanitaria, ma di generalizzare industria, macchine, telecamere e sensori smart. La paura è un sentimento ideale per spingerci ancora di più verso un mondo in cui gli esseri umani sarebbero governati da “oggetti intelligenti” e da chi li programma.
Telesorveglianza
Ha fatto un po’ di scalpore la notizia che il quaranta per cento dei milanesi è stato scovato lontano dalle proprie case attraverso il controllo delle celle telefoniche attivate dai cellulari. Qual è la notizia? Che le compagnie della telefonia mobile realizzino quotidianamente una schedatura di massa è un fatto noto (per quanto pochi ne traggano delle conseguenze). La novità è che si coglie l’occasione di un’emergenza sanitaria per giustificare apertamente qualcosa che esiste ben al di là dell’emergenza e che solleva, o dovrebbe sollevare, non pochi interrogativi etici e sociali. Ma non basta. Da giorni siamo sottoposti a una martellante propaganda finalizzata a introdurre anche in Italia “misure alla coreana”, cioè la schedatura dei contatti tra le persone a partire dal controllo incrociato di smartphone, wi-fi e Bluetooth (per localizzare gli “utenti” non in un determinato quartiere, ma casa per casa, negozio per negozio). I dati “pubblici” sarebbero archiviati e analizzati dalle autorità, quelli “nascosti” (che ogni applicazione sugli smartphone crea, anche quando la si disattiva) alimenterebbero le “macchine intelligenti” con cui si controllano i nostri comportamenti e si studiano le nostre “intenzioni di acquisto”. Felice il governo, felice il capitalismo digitale. E noi?
Che cosa è “essenziale”?
Ciò che non può essere fermato durante un’epidemia ci rivela, indirettamente, quali sono le basi della società in cui viviamo: l’infrastruttura informatica e la guerra. Per questo tutte le fabbriche di armi devono restare aperte. Per questo, mentre siamo chiusi in casa davanti agli schermi, il progresso tecnologico accelera e si installano di nascosto nuove antenne 5G. A conferma di come infrastruttura digitale e guerra siano sempre più intrecciate, Tim “sta insegnando” all’esercito le potenzialità del 5G e dell’intelligenza artificiale per la guerra del “nuovo mondo”. Rimane da chiedersi se quello che non riusciamo a vedere non sia solo un virus che si muove nell’aria, ma il mondo che ci stanno apparecchiando.
Alcune proposte sensate
Sembrano quelle suggerite dalle scritte tracciate sulle vetrate di diversi supermercati di Trento e Rovereto fra il 24 e il 25 marzo: “Sciopero generale”, “Chiudere le fabbriche”, “Abbassare i prezzi”.
Intanto…
Il 25 marzo, c’è stata un’ampia partecipazione allo sciopero generale indetto nel settore della logistica e delle fabbriche. Il 26 marzo, in un supermercato di Palermo, alcune persone hanno riempito i carrelli e cercato di uscire senza pagare. Carabinieri e Celere sono intervenuti sul posto e hanno presidiato, nei giorni successivi, l’entrata di diversi supermercati della città.
Sui social network si moltiplicano gli appelli a non pagare più.
Con il prolungarsi dell’emergenza, magari dopo mesi senza salario, sempre più persone si troveranno davanti al problema di soddisfare i propri bisogni materiali. Situazioni come quella di Palermo forse non saranno così rare: l’esigenza di prendersi ciò che ci serve per vivere sarà ben chiara a chi, semplicemente, non potrà più pagare.