La questione di chi non ha un tetto durante la pandemia di Covid-19 non riguarda solo l’Italia. Tutta Europa si deve in qualche modo misurare con la tutela delle persone che vivono in strada e c’è chi sta cercando di farlo in modo innovativo. In un articolo pubblicato da Redattore Sociale, la giornalista Alice Facchini ha passato in rassegna alcune città europee per vedere come stanno fronteggiando il problema.
Senzatetto e pandemia: l’Italia e l’Europa
Anche in Italia il tema è stato sollevato. A farlo è stata l’associazione Avvocato di Strada, che ha lanciato un appello al governo e agli amministratori locali. I decreti e le ordinanze che impongono alle persone di restare in casa per tutelare la propria e altrui salute, infatti, si scontrano con il problema di chi una casa non ce l’ha e il paradosso è che fioccavano le multe e le denunce che le forze dell’ordine comminavano ai senza dimora. Avvocato di Strada ha chiesto quindi di smettere di accanirsi su queste persone e, al contrario, di individuare soluzioni, come alloggi temporanei in palestre ed altri luoghi ora vuoti, per tutelare chi non ha un’abitazione.
Anche mangiare, all’epoca del Covid-19, diventa un problema. Nei giorni scorsi vi abbiamo raccontato come, a Bologna, si sono riorganizzate le mense per le persone in difficoltà.
Facchini, nel suo articolo, allarga lo sguardo al resto d’Europa e censisce gli interventi messi in campo in alcune grandi città del continente. “Il servizio più innovativo è forse quello di Copenaghen – racconta ai nostri microfoni – dove ci sono unità mobili che vanno in giro ad effettuare il test alle persone che vivono in strada. In altre città, come Barcellona, Bruxelles e Londra stanno venendo potenziati i servizi di housing”. In generale, le politiche di housing sono volte al reinserimento sociale delle persone senza dimora fornendo loro un alloggio, personale o condiviso con poche altre persone: un approccio diverso da quello dei dormitori, che permette alle persone di ritrovare una dimensione “normale”, propedeutica ad un percorso di empowerment.
Uno dei tanti dibattiti che si sono aperti sulla gestione dell’emergenza sanitaria riguarda la strategia migliore per ridurre il contagio. C’è ad esempio chi ha messo in dubbio l’efficacia e l’utilità delle misure adottate in Italia su come trattare i positivi e la cerchia di persone con cui sono entrati in contatto. Un modello alternativo che è stato suggerito è quello che prevede che la degenza degli asintomatici o di coloro che presentano sintomi lievi, al punto da non richiedere l’ospedalizzazione, venga trascorsa in strutture dedicate e non a contatto con persone sane.
“È quello che si sta cercando di fare in Francia per i senza dimora”, osserva la giornalista, raccontando di strutture ad hoc allestite per chi si è ammalato di Covid-19 e rischierebbe di contagiare gli altri ospiti del dormitorio in cui trascorre la notte.
Facchini, per scrivere il suo pezzo, ha intervistato Ruth Owen, direttore della Feantsa, la European Federation of National Organisations Working with the Homeless (Federazione europea delle organizzazioni che lavorano con i senzatetto), che ha sottolineato l’importanza di un approccio comune di tutta l’Ue al tema, ad esempio attraverso linee guida e protocolli uguali per tutti su come prestare assistenza alle persone più esposte durante questa epidemia, come ad esempio la dotazione di mascherine e gel igienizzanti.
“Il problema però non riguarda solo chi è senza dimora oggi – sottolinea la giornalista – ma anche chi è sotto sfratto o rischia di perdere la casa perché è rimasto senza lavoro”. Un tema che ha portato a un’ondata di richieste di fermare gli sfratti, il pagamento degli affitti o dei mutui e lo stanziamento di risorse per sostenere i lavoratori più fragili, in diversi Paesi.