La replica dell’azienda: “Impensabile chiudere 2 giorni gli stabilimenti per sanificarli. Mascherine e guanti? Li forniamo solo a chi è a meno di 1 metro di distanza da un collega”
Che cosa sta succedendo nel gigantesco magazzino Amazon di Castel San Giovanni? Il più grande nodo di logistica italiano (sono quattro in tutta la Penisola) dell’azienda di Jeff Bezos rispetta le indicazioni di sicurezza per proteggere i lavoratori dal diffondersi del Coronavirus? La struttura è un hub da 100 mila metri quadrati di superficie che si trova in provincia di Piacenza, a una manciata di chilometri dall’Oltrepò Pavese, e ha 1.600 dipendenti a tempo indeterminato. Opera in una zona decisamente strategica, nel cuore del Nord Italia. Se si ferma questa struttura, per pacchi e pacchetti consegnati ovunque e a qualsiasi ora (o quasi), sono guai.
“Oltre a noi 1.600 vengono utilizzate molte risorse interinali, soprattutto in questo periodo di paure che aumentano con il Coronavirus” dice a TPI una lavoratrice che preferisce non rivelare il proprio nome. “Oppure l’azienda per i reclutamenti fa leva sulla promessa o l’attuazione di assunzioni a tempo indeterminato. Mi pare che anche la scorsa settimana siano entrate 40 persone in questo modo. Appena due settimane fa in un briefing ci dissero che il 30% degli operai era in malattia, e attualmente molti per tutelarsi rimanendo a casa sfruttano malattia, ferie e congedi parentali. Poi ci sono stati anche scioperi. Credo che al momento siamo pressoché dimezzati. E a fronte di questo ci viene richiesta una produttività sempre maggiore”.
Ma quali sono i problemi e che cosa fa più paura? “Lavoriamo senza guanti e mascherine protettive, non ci sono mai state date” prosegue la dipendente. “Viviamo nel terrore di ammalarci e fare ammalare i nostri cari. Tutti tocchiamo tutto e ci sono corridoi stretti nei quali dobbiamo incrociarci obbligatoriamente senza il rispetto del metro di distanza. L’azienda non ha mai fatto nulla se non dopo l’ultimo decreto, quando sono state piazzate alcune strisce gialle per terra, anche in mensa, per indicare limiti di rispetto da non superare. Ma non esistono controlli, e per esempio anche alla timbratrice spesso ci si trova tutti appiccicati, anche per colpa dell’insensatezza di qualcuno di noi”.
“L’altro giorno una collega aveva la febbre e alle dieci è stata mandata a casa, ma era lì dalle sei. Magari si trattava solo di un’influenza stagionale, ma chi può dirlo? Quante persone può avere potenzialmente contagiato? Ci sono persino alcuni manager che vengono a lavorare con la febbre, perché ci dicono che preferiscono non contrariare l’azienda. E chi cerca di mettere in atto maggiori cautele in processi non fondamentali viene magari invitato di persona o con messaggi a non perdere il ritmo per ‘non creare problemi’. Ci è stato comunicato anche un caso di positività registrato fra il personale; hanno detto di non preoccuparci, che i dipendenti a contatto con questa persona erano stati avvisati e messi in quarantena, ma non mi risulta sia avvenuto per tutti”.
La gente è a casa e ordina in massa sul web. C’è chi dice che in questo periodo il carico di lavoro sia pari a quello che si registra a ridosso di Natale. Resta il fatto che nel mondo Amazon si manda avanti un servizio vitale per tutta la comunità, per la consegna anche di alimentari e generi di prima necessità. “Anche qui avrei da dire – prosegue la dipendente – Noi vediamo ciò che si consegna e le assicuro che solo nel 10% dei casi parliamo di cose in qualche modo indispensabili. Per il resto riceviamo, impacchettiamo e spediamo di tutto: principalmente cover di cellulari, sex toys, videogames, abbigliamento, bigiotteria e cianfrusaglie varie. Abbiamo due turni: 7-15 e 15.30-23.30, ma di fatto qui è aperto 24 ore”.
“Tramite i sindacati abbiamo proposto all’azienda di limitare a sei ore i nostri turni di lavoro; di limitare per un po’ le vendite solo ai generi veramente essenziali; di chiudere per un paio di giorni per una sanificazione di tutto l’ambiente di lavoro. Oltre naturalmente a mascherine e guanti. Ogni richiesta è stata respinta. L’unica contro-proposta che ci è stata fatta è di corrisponderci due euro in più per ogni ora di lavoro. Abbiamo contattato anche l’Asl, ma sembra che nessuno voglia intervenire”.
Una situazione complessa e articolata, stando a questa testimonianza diretta. Ma qual è la posizione dell’azienda? “Applichiamo tutti i protocolli che si seguono in questi casi e che sono previsti dalla Asl” assicura Elena Cottini, responsabile delle relazioni esterne di Amazon Italia. “In caso di un riscontro di positività viene sanificata l’area dove il lavoratore operava ed entrano in permesso retribuito per 14 giorni le persone a contatto con lui, per garantire la normale quarantena. È impensabile chiudere l’intero magazzino per due giorni per sanificarlo tutto. Almeno, sino a questo momento non si è reso necessario”.
“Per ciò che riguarda mascherine, guanti e altri DPI (Dispositivi di Protezione Individuale, Ndr), anche qui siamo nel rispetto degli accordi tra Sindacati e Governo. Vengono fornite a chi è costretto a superare il limite del metro di distanza fra un lavoratore e l’altro. Inoltre, le mascherine per essere veramente efficaci dovrebbero essere sostituite ogni quattro ore. E siamo nel pieno di una situazione che interessa ormai l’Europa e il mondo, quindi sono ormai anche estremamente difficili da reperire. Per ciò che riguarda i guanti – ed è un parere personale -, mi ricordano un po’ quelli che si trovano nei supermercati, per toccare la frutta. Dubito della loro reale efficacia. In compenso sono a disposizione dei lavoratori ovunque soluzioni al 70% alcoliche per lavare e disinfettare le mani, come previsto dalle indicazioni sanitarie”.