8 marzo
Durante la notte il presidente del consiglio Conte ha comunicato la decisione di mettere in quarantena un quarto della popolazione italiana. Piacenza Parma Reggio e Modena sono in quarantena. Bologna no. Per il momento.

Nei giorni scorsi ho sentito Fabio, ho sentito Lucia, e avevamo deciso di vederci stasera per una cena. Lo facciamo di tanto in tanto, ci vediamo in qualche ristorante o a casa di Fabio. Sono cene un po’ meste anche se non ce lo diciamo, perché sappiamo tutti e tre che si tratta del residuo artificiale di quel che un tempo accadeva in maniera del tutto naturale diverse volte alla settimana, quando ci vedevamo dalla mamma.

Quell’abitudine di vederci a pranzo (o, più raramente, a cena) dalla mamma era rimasta, nonostante tutti gli eventi gli spostamenti i cambiamenti, era rimasta dopo la morte del babbo: ci si vedeva a pranzo dalla mamma tutte le volte che era possibile.

Quando mia madre si è trovata nella condizione di non poter più preparare il pranzo, quell’abitudine è terminata. E poco alla volta, è cambiato il rapporto tra noi tre. Fino ad allora, pur avendo ormai sessant’anni avevamo continuato a vederci quasi tutti i giorni in modo del tutto naturale, avevamo continuato a occupare lo stesso posto a tavola che occupavamo quando avevamo dieci anni. Intorno alla tavola si svolgevano gli stessi rituali. La mamma stava seduta vicino al fornello perché questo le permetteva di continuare a occuparsi della cottura mentre si stava mangiando. Io e Lucia parlavamo di politica, più o meno come cinquant’anni prima, quando lei era maoista e io ero operaista.

Questa abitudine finì quando mia madre entrò nella sua lunga agonia.

Da allora dobbiamo convocarci a cena, talvolta andiamo in un ristorante asiatico che si trova sotto i colli, vicino alla Funivia sulla strada che porta a Casalecchio, talvolta andiamo nell’appartamento di Fabio, al settimo piano di un edificio popolare oltre il ponte lungo, tra Casteldebole e Borgo Panigale. Dalla finestra si vedono i prati che costeggiano il fiume, e lontano si vede il colle di San Luca e sulla sinistra si vede la città.

Bene, nei giorni scorsi avevamo deciso di vederci questa sera a cena. Io dovevo portare il formaggio e il gelato, Cristina, moglie di Fabio, aveva preparato le lasagne.

Stamattina tutto è cambiato, e per la prima volta – ora me ne rendo conto – il coronavirus è entrato nella nostra vita, non più come un oggetto di riflessione filosofica, politica, medica, o psicoanalitica, ma come un pericolo personale.

Prima è arrivata una telefonata di Tania, la figlia di Lucia che da un po’ di tempo vive a Sasso Marconi con Rita.

Ha telefonato Tania per dirmi: ho sentito dire che tu, la mamma e Fabio volete cenare insieme, non fatelo. Io sono in quarantena perché una delle mie allieve (Tania insegna yoga) è medico al Sant’Orsola e qualche giorno fa è risultata positiva al tampone. Ho un po’ di bronchite e allora hanno deciso di fare il tampone anche a me, in attesa del referto non posso muovermi di casa. Io le ho risposto facendo lo scettico, ma lei è stata implacabile, e mi ha detto una cosa abbastanza impressionante, cui non avevo pensato ancora.

Mi ha detto che il tasso di trasmissibilità di un’influenza comune è dello zero virgola ventuno, mentre il tasso di trasmissibilità del coronavirus è di zero virgola ottanta. Per intenderci: nel caso di una normale influenza dovete incontrare cinquecento persone per incontrare il virus, nel caso del corona basta incontrarne centoventi. Interesting.

Poi lei, che sembra essere informatissima perché è andata a farsi il tampone e quindi ha parlato con quelli che stanno proprio in prima linea sul fronte del contagio, mi dice che l’età media dei morti è ottantun anni.

Ecco, questo lo sospettavo, ma ora lo so. Il coronavirus ammazza i vecchi, e in particolare ammazza i vecchi asmatici (come me).

Nella sua ultima comunicazione Giuseppe Conte, che mi sembra una persona per bene, un presidente un po’ per caso che non ha mai smesso di avere l’aria di uno che ha poco a che vedere con la politica, ha detto: «pensiamo alla salute dei nostri nonni». Commovente, visto che mi trovo nel ruolo imbarazzante del nonno da proteggere.

Abbandonati i panni dello scettico, ho detto a Tania che la ringraziavo e che avrei seguito le sue raccomandazioni. Ho telefonato a Lucia, ne abbiamo parlato un po’ e abbiamo deciso di rimandare la cena.

Mi rendo conto di essermi infilato in un classico doppio legame batesoniano. Se non telefono per disdire la cena mi metto nella condizione di poter essere un untore fisico, di poter essere portatore di un virus che potrebbe uccidere mio fratello. Se invece telefono, come sto facendo, per disdire la cena, mi metto nella condizione di essere un untore psichico, cioè di diffondere il virus della paura, il virus dell’isolamento.

E se questa storia dovesse durare a lungo?

9 marzo
Il problema più grave è quello del sovraccarico cui è sottoposto il sistema sanitario: i reparti di terapia intensiva sono al limite del collasso. C’è il pericolo di non poter curare tutti coloro che hanno bisogno di un intervento urgente, si parla della possibilità di compiere delle scelte tra pazienti che possono essere curati e pazienti che non possono essere curati.

Negli ultimi dieci anni sono stati tagliati 37 miliardi al sistema sanitario pubblico, i reparti di terapia intensiva sono stati ridotti e il numero di medici di base è drasticamente diminuito.

Secondo il sito quotidianosanità.it, «nel 2007 il Ssn pubblico poteva contare su 334 Dipartimenti di emergenza-Urgenza e 530 pronto soccorso. Ebbene 10 anni dopo la dieta è stata drastica: 49 Dea sono stati tagliati (-14%) e 116 Pronto soccorso non ci sono più (-22%). Ma il taglio più evidente è sulle ambulanze, sia quelle di Tipo A (emergenza) che quelle di Tipo B (Trasporto sanitario). Nel 2017 abbiamo quelle di Tipo A si sono ridotte del 4% rispetto a 10 anni prima mentre quelle di Tipo B si sono dimezzate (-52%). Da notare anche come siano diminuite drasticamente le ambulanze con il medico a bordo: nel 2007 il dottore era presente nel 22% dei veicoli, mentre nel 2017 appena nel 14,7%. Tagliate del 37% anche le Unità mobili di rianimazione (erano 329 nel 2007, sono 205 nel 2017). La stretta ha riguardato anche le case di cura accreditate che in ogni caso hanno molte meno strutture e ambulanze rispetto agli ospedali pubblici».

«Dai dati si nota come vi sia stata una progressiva contrazione dei posti letto su scala nazionale, molto più evidente e rilevante sul numero di posti letto pubblici rispetto alla quota dei posti letto a gestione privata convenzionata: il taglio dei 32.717 posti totali in 7 anni riguardava prevalentemente il pubblico con 28.832 posti letto in meno rispetto al 2010 (-16.2%), rispetto ai 4.335 posti letto in meno del privato accreditato (-6.3%)».

10 marzo
«Siamo onde dello stesso mare, foglie dello stesso albero, fiori dello stesso giardino».

Questo è scritto sulle decine di casse contenenti mascherine in arrivo dalla Cina. Quelle stesse mascherine che l’Europa ci ha rifiutato.

11 marzo
Non sono andato in via Mascarella, come faccio generalmente l’undici marzo di ogni anno. Ci si ritrova davanti alla lapide che ricorda la morte di Francesco Lorusso, qualcuno fa un discorsino, si deposita una corona di fiori oppure una bandiera di Lotta Continua che qualcuno ha conservato in cantina, e ci si abbraccia, ci si bacia tenendosi stretti.

Non me la sono sentita di andare questa volta, perché non me la sentirei di dire a qualcuno dei miei vecchi compagni che non ci possiamo abbracciare.

Da Wuhan arrivano foto di persone festanti, tutte rigorosamente con la mascherina verde. L’ultimo paziente affetto da coronavirus è stato dimesso dagli ospedali costruiti in fretta per contenere l’afflusso.

All’ospedale di Huoshenshan, la prima tappa della sua visita, Xi ha elogiato medici e infermieri definendoli «gli angeli più belli» e «i messaggeri di luce e speranza». Gli operatori sanitari in prima linea hanno intrapreso le missioni più ardue, ha detto Xi, definendole «le persone più ammirevoli della nuova era, che meritano i più alti elogi».

Siamo entrati ufficialmente nell’era biopolitica, in cui i presidenti non possono nulla, e solo i medici possono qualcosa, eppure non tutto.

12 marzo
Italia. Tutto il paese entra in quarantena. Il virus corre più veloce delle misure di contenimento.

Io e Billi mettiamo la mascherina, prendiamo la bicicletta e andiamo a far spesa. Solo farmacie e mercati alimentari possono restare aperti. E anche le edicole, compriamo i giornali. E le tabaccherie. Compro cartine per farmi le canne, ma l’hashish scarseggia nella sua scatoletta di legno. Presto sarò senza droga, e in piazza Verdi non c’è più nessuno dei ragazzi africani che vendono agli studenti.

Trump ha usato l’espressione «foreign virus».

All viruses are foreign by definition, but the President has not read William Burroughs.

13 marzo
Su Facebook c’è un tizio spiritoso che ha postato sul mio profilo la frase: ehi Bifo, hanno abolito il lavoro.

In realtà il lavoro è abolito solo per pochi. Gli operai delle industrie sono in rivolta perché devono andare in fabbrica come sempre, senza mascherine o altre protezioni, a mezzo metro di distanza uno dall’altro.

Il collasso, poi la lunga vacanza. Nessuno può dire come ne usciremo.

Potremmo uscirne, come prevede qualcuno, nelle condizioni di un perfetto stato tecno-totalitario. Nel libro Black Earth, Timothy Snyder spiega che non c’è condizione migliore per la formazione di regimi totalitari che le situazioni di emergenza estrema, in cui la sopravvivenza di tutti è in gioco.

L’AIDS creò la condizione per un diradarsi del contatto fisico, e per il lancio di piattaforme di comunicazione senza contatto: Internet è stato preparato dalla mutazione psichica denominata AIDS.

Ora potremmo benissimo passare a una condizione di permanente isolamento degli individui, e la nuova generazione potrebbe interiorizzare il terrore del corpo altrui.

Ma cosa è il terrore?

Terrore è una condizione in cui l’immaginario domina completamente l’immaginazione. L’immaginario è l’energia fossile della mente collettiva, le immagini che l’esperienza vi ha depositato, limitazione dell’immaginabile. L’immaginazione è l’energia rinnovabile e impregiudicata. Non utopia ma ricombinazione dei possibili.

C’è una divaricazione nel tempo che viene: potremmo uscirne immaginando una possibilità che fino a ieri appariva impensabile: redistribuzione del reddito, riduzione del tempo di lavoro. Eguaglianza, frugalità, abbandono del paradigma della crescita, investimento delle energie sociali nella ricerca, nell’educazione, nella sanità.

Non possiamo sapere come usciremo dalla pandemia le cui condizioni sono state create dal neoliberismo, dai tagli alla sanità pubblica, dall’ipersfruttamento nervoso. Potremo uscirne definitivamente soli, aggressivi, competitivi.

Ma potremmo uscirne invece con una gran voglia di abbracciare: socialità solidale, contatto, eguaglianza.

Il virus è la condizione di un salto mentale che nessuna predicazione politica avrebbe potuto produrre. L’eguaglianza è tornata al centro della scena. Immaginiamola come il punto di partenza per il tempo che verrà.